Tutti
o quasi crescono. Anche Wong Kar-Wai
con
In
the Mood for Love.
Cresce, il regista di Hong Kong, perché rinuncia al pur interessante
sperimentalismo delle sue opere precedenti. Cresce perché si lascia alle
spalle la tempesta erotica di
Happy Together
e sceglie un tono intimo, pudico, ellittico, come chi conosce veramente i
giochi dei sentimenti e può fare a meno di gridare. E così, al suo settimo
film, racconta una storia d'amore e d'amore soltanto.
In the Mood for
Love, come
dice una bella vecchia canzone, e solo nello stato d'animo per l'amore,
che non si concretizza mai, ma resta un sentimento che cambia le vite.
Sarà l'ambientazione nella più semplice e severa Hong Kong cinese degli
anni 60 a rendere così casto e delicato il film, o lo sguardo di un figlio
cresciuto in anni più turbinosi nei confronti degli amori dei coetanei dei
suoi genitori? Maggie Cheung e Tony Leung vivono fianco a fianco, in due
minuscoli appartamenti della casa della signora Suen, che passa il tempo a
giocare a MaJong, a cucinare e a sorvegliare affettuosamente, come fossero
pezzi del suo gioco, i movimenti dei suoi inquilini. Lui lavora in un
giornale, lei in una società di esportazioni. Ogni tanto si tengono
compagnia, perché i due rispettivi coniugi sono spesso assenti anzi,
grazie a un brillante equilibrismo della cinepresa di Christopher Doyle,
che si muove da prestidigitatore negli spazi piccoli e claustrofobici
della casa non li vediamo veramente mai. Finché succede che da piccoli
segni un regalo uguale, una stessa cravatta i due amici capiscono che tra
i loro rispettivi coniugi c'è una relazione, e dalla solidarietà di
esclusi nasce un sentimento d'amore che si sviluppa tra brevi incontri,
grandi piogge, orari di ufficio, gossip del vicinato, cibo precotto, buona
educazione piccolo borghese e non approda ad altro che alla tenerezza.
Ricordare è meglio che vivere? Certo esce più intensità da questo film di
un amore non realizzato che da tanto eros a gogò. Ma è la preziosa
combinazione di elementi a fare di
In
the Mood for Love
una bella esperienza: Maggie Cheung, elegante e sottile come un giunco nei
suoi mille vestitini orientali che sono un arpeggio sullo stesso tema,
trasmette la febbrile sofferenza dell'abbandono subito e dell'abbandono
che esita a concedersi, mentre Tony Leung, con la gentilezza di sempre, ha
il coraggio di teorizzare che ricordare è meglio di vivere. Coraggio che,
del resto, gli ha riconosciuto il Festival di Cannes, conferendogli il
premio per la miglior interpretazione maschile. E Wong Kar-Wai sfoggia
un’inaspettata tenerezza nel giocare con il retrogusto malinconico delle
cose che avrebbero potuto essere e non sono state, delle vite che
avrebbero potuto cambiare e sono rimaste uguali salvo il piacere
malinconico della memoria. |