Ferro 3 - La casa vuota
(Bin-Jip) |
Venezia 61°: Leone d'argento per la regia
L’ultimo film di Kim Ki-duk è un piccolo gioiello. Inserito all’ultimo momento nella competizione veneziana è forse quanto di più inatteso si potesse aspettare. Praticamente un parto fulmineo questo Ferro 3: ci sono voluti solamente cento giorni per realizzarlo e lo stesso Kim Ki-duk se l’è prodotto, scritto e montato. Prolifico come pochi, presente ogni anno in uno o più festival di cinema europei (ha presentato Samaritan Girl nell’ultima edizione del festival di Berlino), costituisce una delle poche certezze provenienti dalla Corea del Sud. Ferro 3 prende il nome da una mazza da golf, quella usata nel film per scagliare palline come fossero proiettili. Cinema ricco di simboli e metafore, e soprattutto, di silenzi. Come Primavera, estate, autunno, inverno... che l’ha reso popolare anche al vasto pubblico. Diverso per ambientazione – volutamente mai precisa(ta) – e per il rapporto tra i due essenziali personaggi. Stilisticamente perfetto, si dipana come fosse una poesia, attraverso un’incomunicabilità fragorosa, una serenità dei gesti e dei movimenti che esplodono in improvvisi scatti di violenza e di lacrime. Proprio da questi momenti si intercetta l’anima di quel Kim Ki-duk che abbiamo conosciuto con i primi lavori e in particolare con il brutale L’isola. Dei due protagonisti di Ferro 3 conosciamo solo il nome: Tae-suk è un ragazzo solitario e alieno, viaggia con la sua moto alla ricerca di case in cui stare per un po’, incolla dei volantini sulle serrature e poi ci abita per una notte, fa il bucato, guarda la televisione, riordina, ripara gli oggetti, gioca a minigolf, fa una foto e se ne va alla ricerca di un altro alloggio; Sun-hwa è una donna imprigionata in un matrimonio con un uomo che non ama più e la maltratta. Si incontrano casualmente, mentre il ragazzo è indaffarato nei suoi lavori casalinghi viene spiato e conosciuto da Sun-hwa, già visibilmente distrutta, e vivono assieme un rapporto fantasmatico di complicità, di convivenza e poi, solo alla fine, d’amore. Non sono necessarie le parole - quelle serviranno solo al marito facoltoso e infuriato per urlare l’inutile - basta l’abissale e incontenibile lirismo che sprigionano i volti e i corpi pensierosi e riservati di Tae-suk e Sun-hwa, memorabili nella loro pacatezza orientale. I due personaggi vivono in un modo immerso nella solitudine, dove l’incomprensione non costituisce un’eccezione, ma la norma. Perché Tae-suk si comporta così? Perché gli basta la sua quotidianità replicata giorno dopo giorno? Tae-suk è il simbolo più grande, di qualcosa che non esiste – e non avremo mai la certezza della sua tangibilità - forse è l’anima stessa del regista. Non si scompone di fronte all’ingiustizia di venire incarcerato per l’omicidio di un vecchio trovato morto in un appartamento a cui ha fatto visita. Ha i suoi ricordi, le sue fotografie con la macchina digitale, e si affeziona all’anima debole di Sun-hwa, mettendo a rischio per sempre la sua vita, soffrendo per lei. Nella sua cella troverà una condizione ideale, metafisica, e così, i due potranno vivere assieme per sempre, nella stessa casa, con un marito cieco della loro magia. Un lieto fine sfuggente perché a noi “non è dato sapere se il mondo in cui viviamo è sogno o realtà”. |
Alessandro Tognolo - MC
magazine 11
ottobre
2004
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| altre testate: |
da Il Corriere della sera (Tullio Kezich) |
da L'Unità (Alberto Crespi) |
Il regista coreano Kim Ki-Duk, autore dell'indimenticabile Primavera, estate, autunno, inverno..., introduce in Ferro 3-La casa vuota (vincitore di un Leone d'argento a Venezia) due protagonisti praticamente muti. Lee Seung-yun gira col motorino per attaccare pubblicità sugli usci delle case, in modo da scoprire attraverso la mancata rimozione del cartiglio le dimore disabitate nelle quali infilarsi. Da un «nido del cuculo» all'altro, il giovane incontra la modella fotografica Jae Hee, mal maritata con un tipo manesco. Proseguendo in coppia il surreale itinerario, Lee e Jae finiscono nei guai quando in una delle case visitate trovano un cadavere. Accusato di omicidio, bastonato dalla polizia e chiuso in cella, il giovane scopre la dimensione mistica del «non esserci» e avvalendosi di tale conquista può ricongiungersi all'amata sotto il tetto coniugale in barba al marito che non lo vede. È una metafora che nel corso di un'ora e mezza si dipana coniugando in una rara sintesi leggerezza e profondità. |
Avete mai avuto la sensazione che qualcuno sia entrato nella vostra casa a vostra insaputa? Un oggetto spostato, un libro aperto, un segno infinitesimale, il sospetto di una presenza misteriosa? Ferro 3 del coreano Kim Ki-Duk, premiato a Venezia, lavora su questa paura... che poi è, semmai, un'inquietudine con aspetti stimolanti (in fondo, le «presenze» possono rivelarsi piacevoli, come l'ombra di Peter Pan, o come gli angeli custodi). Un ragazzo un po' strano gira in moto per la città, appendendo volantini pubblicitari alle maniglie delle porte. Il giorno dopo ripassa dalle stesse case, e controlla: se un volantino è ancora al suo posto, significa che l'appartamento è momentaneamente vuoto; il ragazzo entra e, letteralmente, fa come se fosse a casa propria. Mangia, fa il bucato (è un igienista!), ripara qualche elettrodomestico (è un bricoleur!), dorme e se i legittimi proprietari fanno improvvisamente ritorno, scompare come un fantasma. Ben presto scopriamo (ma non sapremo mai se è un caso) che le case sono legate dalla presenza di alcune foto: tutte raffigurano una giovane modella, nuda, che abita in uno degli appartamenti assieme al marito ricco e manesco. È lei l'obiettivo del giovane? L'enigmatico titolo Ferro 3 allude a un tipo di mazza da golf: in casa del riccastro, che ama e mena la fanciulla, il ragazzo trova infatti delle mazze con le quali comincia ad esercitarsi, raggiungendo quasi subito una perizia che gli consente di sparare palline da golf come fossero proiettili. È una delle tante stranezze di un film lunare, insolito, affascinante. Se ci sono precedenti allo stile di Kim Ki-Duk, risalgono ai tempi di Buster Keaton e di Jacques Tati, artisti con un approccio Zen alla comicità. Kim è un grande eclettico: ha 44 anni, e dal 1996 a oggi ha girato ben dieci film tutti diversissimi l'uno dall'altro. Ferro 3 è una riflessione sulla solitudine che inizia come una comica surreale, prosegue come un dramma kafkiano e finisce come una love-story: tre film in uno, nell'arco di 90 minuti, per la più singolare esperienza visiva e psicologica che possiate fare al cinema in questo Natale 2004. |
LUX - dicembre 2004
cinélite TORRESINO all'aperto: giugno-agosto 2005