Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera
(Bom yeoreum gaeul gyeoul geurigo bom)
Kim Ki-Duk - Corea del Sud/Germania 2003 - 1h 43'


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da La Stampa (Lietta Tornabuoni)

      Anche se Kim Ki-Duk si dichiara un cane sciolto, che non appartiene alla "corrente dominante" e viaggia ai margini, il suo Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera è da considerare un apologo di ispirazione buddista. Tale è la cultura di appartenenza di questo regista coreano segnalatosi all'attenzione della critica internazionale per la singolarità e intensità della sua opera cinematografica (ricordiamo in particolare L'isola, presentato alla Mostra di Venezia nel 1999). Tuttavia, per quanto profondamente orientale, il film ha qualcosa da insegnare a noi che viviamo in un mondo dove sembra che il delitto abbia il perdono incorporato. Infatti la prima cosa che si chiede ai parenti di una vittima è se hanno perdonato, quasi fossero gli altri, i mass media o la società nel suo insieme, a decidere se alleggerire dei pesi la coscienza del colpevole e non questi a doversene assumere la piena responsabilità. Al contrario nella parabola esistenziale delineata da Kim Ki-Duk film successivo in archivio, le cui tappe di dieci anni in dieci anni sono scandite dallo svolgersi delle stagioni, l'individuo rispondendo di se stesso e di ogni suo atto emerge come centro morale assoluto. In una cornice di magica suggestione, un eremo galleggiante nel lago di Jusan sprofondato fra verdi, impenetrabili montagne, vivono un anziano monaco e un bambino di cui seguiamo le tappe di crescita: dalla primavera dell'innocenza infantile in cui si scoprono le cose (inclusa la propria crudeltà), all'estate dell'adolescenza con le sue incontrollabili pulsioni sessuali; dall'autunno tempestoso dell'età adulta, l'epoca degli errori, all'inverno della redenzione e della spiritualità. Il ciclo si chiude e si riapre: a quarant'anni di distanza dalla precedente primavera, il bambino di allora è un anziano monaco che vive con un bambino e… Ambientato in un oggi astratto, realizzato nel corso delle quattro stagioni con l'essenzialità di un haiku, fotografato in modo impeccabile, il film di Kim Ki-duk parla, in contrasto all'immota bellezza del paesaggio, di una natura umana fallace, violenta e sofferente che nel processo verso la maturazione trova il suo senso e il suo riscatto.

LUX - giugno 2004

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