La samaritana (Samaria)
Kim Ki-duk - Corea 2004 - 1h 35'


Orso d'argento (miglior regia) al 54° festival di Berlino

da La Repubblica (Roberto Nepoti)

      Capofila del cinema coreano, Kim Ki-Duk film successivo in archivio è il tipo di regista che flirta sempre con gli stessi temi; ma riuscendo, nei casi migliori, a darne declinazioni nuove e inattese. Anche ne La samaritana, Orso d'argento a Berlino, ci sono personaggi in rotta con se stessi e col resto del mondo: le studentesse Jae-Young, che si prostituisce con uomini maturi per sete d'amore, e Yeo-Jin, la "samaritana", che le fa da manager scegliendo i clienti e assicurandosi che venga pagata. Un giorno, in un motel, la prima si ferisce gravemente per sfuggire alla buoncostume in cerca di prostitute minorenni. Da allora, Yeo-Jin incontra i clienti dell'amica, ci va a letto ma rifiuta di farsi pagare; anzi, rende loro il denaro dato all'altra. Finché suo padre non la sorprende. Le tematiche centrali sono la colpa e l'espiazione, l'innocenza, la redenzione; argomenti cari a ogni religione, ma che Kim Ki-duk tratta da un'ottica rigorosamente laica. Poiché nella Samaritana tutto è questione di posizionamento della macchina da presa, come accade in pochi altri cineasti contemporanei (in Takeshi Kitano, ad esempio). Nessuna condanna, nessun moralismo - né tantomeno psicologismi semplificatori - nel modo in cui la cinepresa guarda i personaggi e le loro azioni; senza mai giudicare, l'obiettivo osserva, mentre la regia adotta una scala d'inquadrature sempre più ampie via via che il film si avvicina alla fine. E al cinema, diceva qualcuno che la sapeva lunga, la "morale" è precisamente un affare di linguaggio.

da Film Tv (Pier Maria Bocchi)

      La samaritana è il film precedente a Ferro 3, ed è il miglior lavoro di Kim Ki-duk (insieme a Bad Guy), il più sconvolgente, il più stratificato. La pulizia stilistica e la sintesi del racconto di Kim dovrebbero ormai essere studiate nelle università. Con La samaritana, demolisce ogni consuetudine etica per lasciare allo spettatore la possibilità del come e cosa pensare. Cioè: il non plus ultra che si può chiedere al cinema. Preferiamo non dir nulla della vicenda, anche perché si rischierebbe di dare a intendere "tematiche" che non esistono. Per favore, non scambiatelo per un film moralistico o, ancor peggio, sulla pedofilia. La samaritana è sguardo su un mondo che non ha più né bianchi né neri, e il grigio mette paura; è incisione su relazioni di sangue che rivelano improvvisamente delle inadattabilità insanabili: è elaborazione impossibile di un lutto, quello per la morte della morale (appunto). Kim Ki-duk è di una lucidità che mette la pelle d'oca, e non offre facili risposte a domande più grosse della vita. Dove stiano il giusto e lo sbagliato, la ragione e il senso, è adesso luogo sconosciuto. Un film a suo modo definitivo, che lascia da soli con se stessi, senza padri e senza madri e senza guide, come evidenzia il finale.

da Corriere della Sera (Maurizio Porro)

      Prendendo spunto da un fatto di cronaca e ossigenandolo poi con un senso del cinema etico che si allarga sui silenzi e panorami esistenziali mentre la storia s'incupisce, il coreano Leon d'oro Kim Ki duk racconta due prostitute di buona famiglia: una innamorata e inseguita dalla buoncostume, si uccide; l'altra la vendica «restituendo» i guadagni, come se i sentimenti avessero un'andata e ritorno (splendida idea di sceneggiatura). L'imprevisto è che il padre la scopre e si rovina la vita. Intriso dell'angoscia del cine asiatico ma anche provvisto dello strano humour d'autore a 360 gradi, il film è di una pregnante malinconia, ha un gusto del racconto interiore che copre l'origine documentaria. Una lezione senza soluzione sul complesso di colpa.

i giovedì del cinema invisibile TORRESINO ottobre-dicembre 2005