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Orso d'argento (miglior regia) al 54° festival di Berlino |
da La Repubblica (Roberto Nepoti) |
Capofila
del cinema coreano, Kim Ki-Duk
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da Film Tv (Pier Maria Bocchi) |
La samaritana è il film precedente a Ferro 3, ed è il miglior lavoro di Kim Ki-duk (insieme a Bad Guy), il più sconvolgente, il più stratificato. La pulizia stilistica e la sintesi del racconto di Kim dovrebbero ormai essere studiate nelle università. Con La samaritana, demolisce ogni consuetudine etica per lasciare allo spettatore la possibilità del come e cosa pensare. Cioè: il non plus ultra che si può chiedere al cinema. Preferiamo non dir nulla della vicenda, anche perché si rischierebbe di dare a intendere "tematiche" che non esistono. Per favore, non scambiatelo per un film moralistico o, ancor peggio, sulla pedofilia. La samaritana è sguardo su un mondo che non ha più né bianchi né neri, e il grigio mette paura; è incisione su relazioni di sangue che rivelano improvvisamente delle inadattabilità insanabili: è elaborazione impossibile di un lutto, quello per la morte della morale (appunto). Kim Ki-duk è di una lucidità che mette la pelle d'oca, e non offre facili risposte a domande più grosse della vita. Dove stiano il giusto e lo sbagliato, la ragione e il senso, è adesso luogo sconosciuto. Un film a suo modo definitivo, che lascia da soli con se stessi, senza padri e senza madri e senza guide, come evidenzia il finale. |
da Corriere della Sera (Maurizio Porro) |
Prendendo spunto da un fatto di cronaca e ossigenandolo poi con un senso del cinema etico che si allarga sui silenzi e panorami esistenziali mentre la storia s'incupisce, il coreano Leon d'oro Kim Ki duk racconta due prostitute di buona famiglia: una innamorata e inseguita dalla buoncostume, si uccide; l'altra la vendica «restituendo» i guadagni, come se i sentimenti avessero un'andata e ritorno (splendida idea di sceneggiatura). L'imprevisto è che il padre la scopre e si rovina la vita. Intriso dell'angoscia del cine asiatico ma anche provvisto dello strano humour d'autore a 360 gradi, il film è di una pregnante malinconia, ha un gusto del racconto interiore che copre l'origine documentaria. Una lezione senza soluzione sul complesso di colpa. |
i giovedì del
cinema
invisibile
TORRESINO
ottobre-dicembre 2005