L'ironia di affrontare, in parallelo, la figura noir
di
Mitchum e l'ingenua idealità di
James
Stewart dà ancor più
risalto alla ricchezza mitica del cinema hollywoodiano, prodigo di divi,
ma anche di personalità che, mentre si ridefinivano nel continuo
confronto con generi ed autori, ne rivitalizzavano le peculiarità
con caratterizzazioni sempre più pregnanti e "identificative".
Qual è allora il Jimmy Stewart che più amiamo? Quello dell'utopia
morale di Frank Capra negli anni 30 e 40 (L'eterna illusione,
Mr. Smith va a Washington, La vita è meravigliosa) o
il disorientato eroe hitchockiano anni 50 di La finestra sul cortile,
L'uomo che sapeva troppo, Vertigo-La donna che visse due volte?
Il democratico in prima linea tra i chiaroscuri della giustizia (Chiamate
Nord 777 - Hathaway '48 - e Anatomia di un omicidio - Preminger
'59) o il gentiluomo di gran cuore nelle commedie sofisticate di Lubitsch
e Cukor (1940: Scrivimi fermo posta e Scandalo a Filadelfia)?
E come dimenticare i suoi grandi western, da cowboy rotto alle insidie
della prateria ma sfiduciato di fronte al cinismo degli uomini (su tutti
Winchester '73 di Athony Mann e L'amante indiana di Delmer
Daves, entrambi del '50) ad esemplare difensore dei diritti civili nel
capolavoro fordiano L'uomo che uccise Liberty Valance (1962). Dovendo
immortalare nell'immaginario cinematografico una personalità d'attore
così limpida, ma di tale sfaccettata complessità, non sapremmo
se privilegiare la sua espressione disperata mentre stringe tra le braccia
il corpo senza vita di Sonseeahray (L'amante indiana), lo sguardo
ammaliato che rivolge a Kim Novak che avanza verso di lui grigio-vestita
in Vertigo o l'abbraccio di famiglia sotto l'albero nella magia
natalizia di La vita è meravigliosa. A voi la scelta.
ezio leoni -
La
Difesa del Popolo
20 luglio 1997
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