Un
semplice gesto della mano guardando in alto, verso l'insegna dell'officina
di Jeff Bailey. Così vorremmo ricordare, con un saluto,
Robert
Mitchum;
come faceva il ragazzo sordo, nel finale di
Le catene della colpa (Out Of The Past),
noir
firmato da Jacques Tourneur.
Mitchum, uomo e attore, era di poche parole, il suo personaggio quello
di un antieroe, anarchico e disilluso. Stazza virile, andatura indolente,
recitazione sottopelle, egli ha lasciato nel cinema il ricordo di una presenza
vibrante, ora acre e brutale (l'allucinato assassino del capolavoro
La morte corre
sul fiume
- '55, il delinquente psicopatico di Promontorio della
paura - '62), ora introversa ed autodistruttiva come in
Notte senza
fine (un grande western "psicologico" di Roul Walsh - 1947)
o come nelle memorabili interpretazioni degli anni 50, da Il temerario
di Nicholas Ray a Il contrabbandiere di cui scrisse egli stesso
il soggetto. Seppe duettare con ironia col fascino di Marilyn Monroe (La
magnifica preda - 1954), dare corpo alla invadente figura paterna disegnata
da Vincent Minnelli in A casa dopo l'uragano (1959), indossare la
divisa militare come una pelle scomoda per la sua intensa umanità
(da I forzati della gloria - '45, a Il giorno più lungo
- '62), lasciare un segno imperioso anche in melodrammi fuori dalle suo
corde (La figlia di Ryan - David Lean, 1970) o stilizzandosi in
un estremo 'cameo' (Dead Man
di Jim Jarmusch, sua ultima apparizione
sullo schermo nel 1995). Ma il Mitchum davvero indimenticabile
è quello indolente ed "etico" del noir. Furono lo splendido
Le catene della colpa e Il tesoro di Vera Cruz a ritagliargli
addosso il personaggio ('47 e '49); venticinque anni dopo, nel 1975, Sidney Pollack (Yakuza) e Dick Richards (Marlowe, poliziotto privato)
ne rinverdirono, inaspettatamente, il carisma. Che lo ricordiate come Jeff
Bailey, Philip Marlowe o Robert Mitchum, il suo fascino melanconico resta
inalterato.
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