Ci
si aspettava un film spettacolare e retorico, e così è stato.
World Trade Center
gioca in apertura la carta della spettacolarità come solo il cinema
americano sa fare: sono le 3:23 dell’11
settembre quando John McLoughlin (Nicolas Cage), sergente
del Dipartimento di Polizia Portuale di New York, inizia la sua giornata
di lavoro. Sarà una giornata che lui, gli americani, il mondo intero
non dimenticheranno. Il sergente e la sua pattuglia vengono subito
inviati alle Torri dopo il primo fatidico impatto.
Stone
usa le immagini
di repertorio solo sugli schermi televisivi, immortala l’arrivo dell’aereo
come un’ombra che si staglia sui palazzi adiacenti, fa vivere l’evento
ai suoi personaggi ed al pubblico come una deflagrazione schermica
fatta di rimbombi, crolli e urla, polvere e lamenti. Al cedere della
prima torre i
poliziotti si rifugiano nella tromba dell’ascensore, quella che, per
i più, ne diventerà la tomba. Tra un boato e l’altro le macerie si
accumulano su di loro, li dilaniano, li soffocano. Alla fine sopravvivono
solo McLoughlin e l’agente Will Jimeno (Michael Peña) ed è sui loro
volti, sporchi e sofferenti, che la macchina da presa si ancora con
solidale empatia. La salvezza dei due dipenderà non solo dalla rapidità
dei soccorsi, ma anche dalla loro forza d’animo, dal sostenersi a
vicenda, dal loro aggrapparsi ai ricordi, a visioni mistiche (ironia
e kitsch in un Gesù sfolgorante con in mano una bottiglia d’acqua!),
ai volti delle persone care. E su questo rimando al privato si poggia
anche il meccanismo narrativo del film che esce dalla claustrofobia
della situazione (inquadrature buie tra acciaio e cemento, polverosi
primi piani sui volti di John e Will) per fotografare l’atmosfera
delle loro famiglie che non possono che vivere un’angosciosa attesa:
Donna McLoughlin e Allison Jimeno nelle loro case, tra figli e parenti,
esorcizzano anch’esse l’ansia e la paura ripensando ai momenti felici
del passato, cercano invano notizie presso i colleghi al Dipartimento
di Polizia, passano di continuo dalla speranza allo sconforto. La
regia di Stone dopo l’esplosiva emozione dell’inizio riesce a consolidare
un ritmo ed una partecipazione apprezzabili (pur con qualche parentesi
ripetitiva e un pericolo di noia incombente), trova nelle pieghe della
Storia di quell’11 settembre un altro protagonista (Dave Kernes, un
ex-marine che si precipitò alle Torri spinto da un’intima missione
di aiuto) e affida alle sue ostinate ricerche (come nella realtà)
il ritrovamento, dopo 12 ore, dei due sopravvissuti. Le concitate
fasi del salvataggio occupano, catartiche, l’ultima mezz’ora del film
e danno modo all’autore di
Platoon di
scrivere un’altra pagina, stavolta in positivo, sullo spirito americano,
sul senso di patriottismo, sull’importanza della famiglia, degli affetti,
della solidarietà nazionale. |
ezio leoni - Il Mattino di Padova 2 settembre 2006 |