da La Stampa (Lietta Tornabuoni) |
Con l'antichità il cinema americano non ce la fa quasi mai, però ci sono alcune belle cose in Alexander di Oliver Stone, biografia poco riuscita del re guerriero Alessandro Magno, erede di Filippo II il Macedone, glorioso giovanissimo conquistatore di gran parte del mondo allora conosciuto, mai sconfitto in guerra, vissuto nell'era pre-cristiana (346-323 a. C.) e morto a 33 anni, ucciso per veleno. Cose belle, per dire: una magnifica battaglia combattuta nelle foreste dell'India, contro minacciosi elefanti corazzati d'argento; il progetto di Alessandro (un po’semplificato e accentuato nel film) di unire popoli diversi d'Occidente e d'Oriente in una convivenza pacifica e mescolanza amica, naturalmente sotto la sua sovranità; la faccia meravigliosa del re persiano Dario III con la sua barba boccoluta, l'unico ad ostentare un'aria di nobiltà mentre i suoi avversari macedoni hanno l'aspetto di barbari montanari; le cosce e gambe perfette di Colin Farrell quando cavalca, come il suo Alessandro, senza sella e al galoppo sfrenato; la furia più assassina che erotica di Alessandro nel possedere la moglie troppo freudianamente somigliante alla madre amata e odiata Angelina Jolie (l'attrice-madre ha un anno meno dell'attore-figlio); le feste notturne nelle pause della guerra, con Alessandro che pare una rock star affaticata e disgustata dalla tournèe troppo lunga; lo stallone Bucefalo, nero e ribelle, domato da Alessandro ragazzino nella sua prima vittoria. Per il resto, non va: a volte il film è anche noioso. Si comincia con Anthony Hopkins (Tolomeo) impegnato, come sempre negli ultimi anni, a rendersi ridicolo: su una terrazza sul mare, circondato di efebi, con una toga corta e una gran fascia bianca nell'ex punto vita, attacca a monologare raccontando come in una lezione scolastica le battaglie, le vittorie e il temperamento di Alessandro Magno. Riapparirà verso la fine, la sua voce fuori campo interviene ogni tanto: dovrebbe insomma rappresentare la cornice della vicenda, ma un film di 2 ore e 55 minuti è un po’troppo lungo per venire incorniciato. Tanto più che la vicenda procede bucherellata da amplissime ellissi, saltellando confusamente senza spiegazioni dallo splendore di Babilonia coi suoi giardini pensili all'ennesima Alessandria battezzata dal re in proprio onore (una delle più resistenti, Alessandria d'Egitto). Com'era abituale all'epoca, il re amava anche un ragazzo, Efestione (Jared Leto): ma se l'affetto che lega i due giovani è evidente e forte, il loro legame fisico è invisibile. Al massimo un abbraccio o meglio, alla francese, una «accolade», una di quelle rigide strette ufficiali di solito riservate ai familiari dei caduti, vanifica quel che l'autore considera una schietta arditezza del film. Colin Farrell è bravo, ma alla confusione bellica si unisce una certa confusione privata: apparentemente nell'infanzia Alessandro è legatissimo alla madre stregonesca, è grande ammiratore del padre; più tardi ha il sospetto che la madre sia mandante dell'uccisione del padre e da allora non vuole più vederla, sale al trono ma parte per non tornare e diventa amante degli uomini. Grande spreco, si capisce, di psicoanalisi da supermarket. La sceneggiatura mal congegnata rovina il film girato in Marocco e in Thailandia e, benchè il regista vi abbia collaborato, sembra inadattissima allo stile, al ritmo, alle passioni di Oliver Stone : ma il grande autore di Platoon, Wall Street, Nato il quattro luglio, Natural Born Killer, non dirigeva un film da quasi cinque anni. |
cinélite TORRESINO all'aperto: giugno-agosto 2005