Ti prende per la gola con una
botta di adrenalina, l'inizio di
Ogni maledetta domenica.
Perché la macchina da presa non sta ferma un secondo, perché
gli uomini della linea di difesa sembrano colossi aggressivi e
gli avversari dell'attacco belve sanguinarie, pronte ad assaltare
la preda. Nella fattispecie, la preda é la palla ovale e la
"guerra" è quella che si scatena "any given
bloody sunday" sui campi Nfl del football americano.
Cercano di tramortirti spiazzando la visione, i minuti iniziali
di Ogni maledetta domenica, metafora del cinema
secondo
Oliver Stone
. Cinema frastagliato, irruento, eccessivo,
retorico, con un regista/allenatore che urla come un ossesso a
bordo campo o meglio, "fuori campo", il set del suo
nuovo film, dunque, è quello che i gladiatori americani
percorrono per strappare un touchdown. Stone racconta la sua
storia: una squadra amministrata dalla rampante Cameron Diaz, che
pensa alle copertine di Sport Illutrated e non all'essenza
del gioco. Un'allenatore vecchio stampo, Al Pacino, schiavo un po'
del (suo) personaggio, che pensa al gioco e non al business. Un
campione acciaccato, Dennis Quaid, che fatica a rientrare nella
rosa. Il suo contraltare, l'emergente Jamie Foxx destinato a
diventare il primo leggendario quarterback afro, sempre che
maturi e lasci perdere il divismo e il radicalismo da black
panther. Ogni personaggio é poco più che una figurina
appiccicata al resto.... Ma, si dirà, contano solo la tecnica,
il linguaggio, il talento di un regista che cerca di filmare il
non filmabile e non sempre ci riesce.
Ogni maledetta
domenica conferma una (brutta) impressione: Oliver Stone
ha ormai poco da aggiungere a tutto quello che ha già detto/mostrato.
E quel poco lo grida fastidiosamente a squarciagola. |