Il vento
che accarezza l'erba
(The Wind
That Shakes the Barley) |
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Palma d'oro |
da Il Messaggero (Fabio Ferzetti) |
Un popolo
spaccato in due. Una resistenza divisa. Una famiglia così lacerata che un
fratello finisce per sparare all’altro fratello. Solo
Ken
Loach avrebbe
potuto raccontare come iniziò la guerra civile nell’Irlanda del 1920-21
[..]
The
Wind that Shakes the Barley
completa il quadro con altre preziose notazioni sul ricordo della Grande
Guerra; il contropotere organizzato dall'Ira, che mobilita contro gli
inglesi i ferrovieri e gestisce tribunali propri; il ruolo delle donne non
solo nella memoria collettiva ma nella giustizia (da antologia anche il
processo popolare contro un usuraio). |
da Film Tv (Mauro Gervasini) |
Ma Ken Loach è un grande regista? Interrogativo quanto mai attuale mentre è in sala Il vento che accarezza l'erba, storia del dissenso fratricida che intorno al 1920 spaccò in due il movimento repubblicano irlandese, mettendo una parte contro l'altra e favorendo la sopravvivenza di un impero, quello britannico, altrimenti moribondo. Palma d'oro a Cannes, per più di un commentatore immeritata. Il nocciolo della questione non è ideologico ma cinematografico. Si accusa Loach di privilegiare il didascalismo, la trasparenza, l'immediatezza del "contenuto" rispetto alla drammaturgia e alla messa in scena. Forse però il dilemma è malposto. Proviamo quindi a cambiare la prospettiva. Rispetto ad altri registi (forse a tutti gli altri registi) Ken il rosso è spinto da una urgenza sociopolitica titanica e granitica. L'essenza del suo cinema è l'equilibrio tra militanza e narrazione. La prima non può fare a meno della seconda, e questo è ovvio - ma anche la seconda non può fare a meno della prima, e questo rappresenta la cifra personale del nostro (e dello sceneggiatore Paul Laverty). A volte l'equilibrio è perfetto - come nei primi film e in Sweet Sixteen - altre più faticoso, specie se l'ottica della militanza letteralmente sconfina nei territori della Storia, quindi Terra e libertà, La canzone di Carla e Il vento che accarezza l'erba. Perché, però, nonostante gli intoppi, i dialoghi non sempre ispirati, i repentini e improvvisati cambi di registro o i troppi sottintesi, non si può che continuare ad amare il cinema di Ken Loach? Perché a volte anche le persone contano. E noi qui parliamo di un cineasta che non ti imbroglia mai, e ha della rappresentazione una concezione talmente ferrea, a volte addirittura cocciuta, da risultare una quintessenza di moralità in atto. Questa rettitudine a priori, e la recherche di un equilibrio difficile, preservano il nostro dalla retorica. Il fatto di essere didascalici, va da sé, non significa automaticamente essere declamatori. Lo dimostra proprio Il vento che accarezza l'erba, quando il macchinista ferroviere, il navigator, verso il finale fa il discorso in difesa degli originari principi socialisti della lotta irlandese contro la Gran Bretagna. Non c'è nessuna enfasi nel suo discorso, caso mai disillusione, che poi deve essere la stessa del regista. Il quale, proprio per l'onestà intellettuale di cui sopra, probabilmente non l'ammetterebbe mai. |
da La Stampa (Lietta Tornabuoni) |
Loach,
l'amico del popolo, affronta in modo diretto il conflitto anglo-irlandese,
nato nel XII secolo, in uno dei suoi momenti più crudi. Subito dopo la
prima guerra mondiale, le elezioni del 1918 vennero vinte in Irlanda dagli
indipendentisti del Sinn Fein, i cui deputati non andarono al parlamento
inglese ma si riunirono in assemblea a Dublino proclamando l'autononia di
tutta l'Irlanda e formando nel 1919 il governo presieduto da De Valera.
Seguirono due anni di guerriglia (sempre rispettosi del voto popolare e
della democrazia, gli inglesi rifiutavano il risultato delle elezioni),
finché dopo lunghe trattative nel 1921 venne firmato un trattato che
istituiva lo Stato Libero d'Irlanda: ma conservando in forma di dominion
la dipendenza dell'Irlanda dall'Inghilterra. Questo trattato divise
violentemente il movimento irlandese: alcuni pensavano che nelle
trattative si fosse ottenuto troppo poco, altri invitavano alla pazienza e
alla gradualità. |
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TORRESINO dicembre
2006