Doveva
essere, con
The Funeral, il trionfatore
della Mostra del Cinema; gli è arrivata solo una patetica Medaglia
della Presidenza del Senato, ma tant'è:
Ken
Loach
è abituato ad infiammare gli animi dei festivalieri e vedersi
poi trascurato dai riconoscimenti più alti della giuria. Nel
93 a Cannes
Piovono pietre
(forse
il suo film più rigoroso ed esemplare di questo decennio) si
era dovuto accontentare del Gran Premio della Giuria, lasciando la Palma
d'oro a Lezioni di piano; nel 94 a Berlino a
Ladybird
Ladybird
era stato preferito
Nel
nome del padre e l'anno scorso, ancora a Cannes, la scomoda
rivisitazione politica di
Terrà
e libertà era stata completamente dimenticata di fronte
all'urgenza visionaria di
Underground.
Va
detto che Carla's Song (La canzone di Carla) non è
un film perfetto, perché troppo sbilanciato stilisticamente tra
la prima parte, ambientata a Glasgow, e la seconda, in cui la vicenda si
trasferisce in Nicaragua. Nel contesto scozzese Loach, verace cantore della
working-class britannica, dà il meglio di sé narrando l'incontro
tra George (Robert Carlyle) - guidatore d'autobus di trasgressiva professionalità
- e Carla, un'esule nicaraguense, schiva e depressa per le troppe responsabilità:
quelle per la lotta politica abbandonata in America Latina e quelle per
il destino del suo innamorato Antonio, di cui da tempo non ha più
notizie. George prima l'aiuta evitandole una contravvenzione e trovandole
un alloggio, poi le fa una corte sfacciata dirottando l'autobus di linea
in una romantica gita sul Loch Lomond, cercando di ridarle la voglia di
sorridere, di trasmetterle la propria scanzonata e appassionata adesione
ad un vivere fatto di piccole cose ma di sincere intenzioni. Alla fine
si rende conto che l'unico vero modo per aiutarla è quello di riportarla
nella sua terra e di esserle vicino in un'esperienza di vita che si rivelerà
fondamentale per entrambi. Anche per Loach forse, il quale lontano dai
suoi quartieri e dalla sua gente, vive lo spaesamento di George, scivola
in un un'atmosfera "turistica" che non sempre convince ma che,
proprio nell'ingenua assonanza d'esperienza regista-protagonista, risulta
ancora più umana e sincera. Così, anche quando in un impeto
di retorica Loach mette in bocca all'americanissimo Scott Glenn una fervente
accusa all'imperialismo USA, non rimaniamo più di tanto infastiditi:
Loach "il rosso" non si preoccupa di costruire chissà
quale teorema filmico per denunciare colpe e atrocità per lui scontate,
preferisce un'esplicita requisitoria così da potersi concentrare
cinematograficamente sul tormento sentimentale di George e Carla. Dobbiamo
ancora soprassedere ad un'improbabile consecutio temporale nella
struttura narrativa, ma quando arriviamo a tirare le fila della vicenda
e del film non possiamo non restare toccati dalla finezza di questa sconvolgente
storia d'amore in cui il lieto fine esce dalla convenzionalità e
in cui il peso dell'esperienza e della solidarietà, per George,
per Loach (e per noi spettatori), diventa essenziale per poter continuare
a percorrere con coscienza e maturità il nostro vivere.
ezio leoni
-
La Difesa Del
Popolo
29
settembre 1996
|