Ladybird Ladybird
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da Ciak (Stefano Lusardi) |
Duro,
inequivocabile, doloroso, profondamente umano: è il cinema
di Ken
Loach, testa pensante e fuori schema del cinema contemporaneo.
Stavolta, non solo rinuncia ai tocchi di humour presenti in Piovono
pietre, ma addirittura, massimo virtuosismo d'autore, si annulla per
diventare semplice occhio/memoria storica di una storia di una storia
vera e necessaria. Sappiamo come costruisce i suoi film: sceglie,
con encomiabile acume, i suoi non attori - in questo caso la straordinaria
Crissy Rock, che si esibiva come comico dilettante nei pub di Liverpool,
e premiata quest'anno a Berlino - e sul set offre appena un canovaccio
lasciando spazio all'improvvisazione e all'immedesimazione. Così
Crissy Rock "è" Maggie, donna proletaria e scurrile,
violenta perché cresciuta nella violenza, che ha avuto quattro
figli da quattro uomini diversi e che, uno dopo l'altro, assieme ai
due nuovi bambini che farà con un nuovo compagno, uomo tenero
e giusto, le saranno sottratti da un'assistenza sociale che prosegue
la sua opera con cieca e acritica burocrazia. Loach non sposa alcuna
tesi, non giudica, si limita a mostrare il dolore di questa donna
e la sua lunga inutile battaglia. Ma regala allo spettatore beni inestimabili:
forti sentimenti, la capacità di dubitare, la voglia di pensare. |
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La Repubblica (Paolo D'Agostini) |
Ancora fermo, in questa impetuosa primavera creativa che lo conserva a 58 anni di età nel suo aspetto di regista ragazzino, Ken Loach sta fermo sulla barricata del disagio sociale, più determinato che mai a sventolare la bandiera degli indifesi e dei disgraziati, [...] a ricordare che a stare male, ad essere infelici sono tanti, stanno dappertutto ed hanno disperatamente bisogno di qualcuno che li rappresenti [...] La diversità di Ladybird verso gli altri e anche verso i precedenti film "sociali" di Loach è in questo straordinario personaggio: che non chiama alla commozione obbligata né a una facile solidarietà. E' aspro, violento, controverso. A momenti ci sfiora il sospetto che abbiano avuto le loro ragioni a ritenerla una madre inattendibile e pericolosa. Loach non si limita ad allineare, con un ritmo ossessivo che si aggiunge alla consueta impaginazione aspra, un cumulo di disgrazie: colpisce al cuore con i modi di un'inchiesta implacabile, che si astiene dal dare ragioni e torti, ma si interroga pietosa sul come si possa sopravvivere a tanto carico di preoccupazioni, senza preamboli né divagazioni si chiede come si possa sopportare il peso di tanto strazio. E scegliendo ancora una volta degli eroi un po' spenti e ingrigiti, né giovani né vincitori, ma neanche del tutto vinti, umili e fieri combattenti della guerra che va dalla mattina alla sera, rispetta il loro diritto alla vita. Anche il diritto di Maggie a urlare finché ha fiato. |