The New World
Terrence Malick - USA 2005 - 2h 32'


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     Il cinema di Terrence Malick film successivo in archivio è un cinema alieno, fuori dagli standard produttivi hollywoodiani, ma lontano anche dai cliché del cinema d’autore, caratterizzati da filmografie ricche di titoli (Allen, si diceva la settimana scorsa, è arrivato a quota trentacinque), da un presenzialismo quasi divistico nei canali dei massmedia (sempre Woody, di solito schivo, si è reso disponibile, per il suo Match Point, perfino alle presenze in tv). Malick (quattro film in trent’anni) viene definito il Salinger del cinema, non concede interviste, si nega al chiacchiericcio promozionale e lascia che sia l’immaginario mitico delle sue opere a definire la sua identità d’autore. Un immaginario ed un’identità che si sono rivelati con lo straordinario esordio, nel 1973, di La rabbia giovane (una giovane coppia “ribelle”, con un’irrequietezza ereditata da James Dean e la violenza assassina che sarà di Tarantino), hanno sedimentato un rapporto profondo con la passionalità e la natura in I giorni del cielo (1978), hanno sublimato la nostalgia per l’eden perduto, l’amarezza per l’ineluttabilità del dolore e della violenza nel percorso, storico ed individuale, dell’essere umano (La sottile linea rossa - 1998). Un cinema intellettuale e filosofeggiante quello di Malick, un cinema che è vera apologia della forza figurativa delle immagini, del fascino a tutto schermo di un mondo incontaminato “abitato” (nel senso più verace di “habitat”) dagli uomini.
Con
The New World l’esplorazione del rapporto uomo-natura, società-individuo si sposta agli albori della conquista dell’America (Virginia 1607) e va all’essenza del racconto/leggenda di Pocahontas (sì proprio quella del cartone animato Disney del 1995), la principessa indiana che fa da perno nell’incontro-scontro tra gli Algonchini e i coloni inglesi. Una truppa di debosciati, questi ultimi, tra i quali spicca, per irrequietezza ma anche per coraggio, il capitano John Smith. Incaricato di una missione suicida per prendere contatto con il capo Powhatan, trova salva la vita proprio grazie a Pocahontas, sua figlia: l’amore che sboccia tra i due fa da filo conduttore al dipanarsi di The New World che non si esime dal descrivere la protervia della colonizzazione, lo squallore degli avamposti della nuova civiltà, i sanguinosi scontri che cadenzarono il fondersi (?) delle culture. Pocahontas (interpretata da una quindicenne indio/peruviana) e John Smith (Colin Farrell) vivono un breve amore impossibile; poi lui partirà per nuovi passaggi da esplorare, lei andrà sposa ad un coltivatore di tabacco (Christian Bale), approderà nel vecchio continente, invitata alla corte d’Inghilterra. Morirà, fatalmente, priva degli anticorpi necessari per integrarsi in una diversa realtà.
Ci sono tutti i temi e i paesaggi che cadenzano l’intimo approccio all’immaginario cinematografico di Malick, una creazione filmica che s’avvicina ad un mondo sconosciuto e idealizzato con la stessa, lenta sinuosità con cui si muove la macchina da presa. Lo sbarco in quei luoghi esotici, l’avventurarsi tra il verde di una natura selvaggia, il fascino e lo spaesamento che subiscono i coloni, hanno l’impatto figurativo memorabile a cui Malick ci ha abituati; e così pure gli scoppi improvvisi di violenza nelle battaglie, la soavità dell’intimo abbraccio con la purezza di mondo che dovrebbe/vorrebbe essere sempre “nuovo”, la rarefatta descrizione di un’Europa “vecchia e lontana”, lasciano un segno profondo nella nostra esperienza di spettatori; eppure la magia a cui ci eravamo preparati non si compie.
The New World dilata all'estremo tempi e situazioni, soffoca il ritmo in favore di un andamento narrativo solenne, esaspera con il salmodiare delle voci off. Il “nuovo mondo” che Malick rimpiange è quello di un panteismo arcaico, ma è pure quello di una riscoperta di valori per i quali è l’ingenuità dell’amore la chiave di volta per raggiungere “una realtà che ritenevo un sogno”. Peccato che anche per lui, questa volta, sia troppo flebile il confine tra gli spazi aperti di una meravigliosa prosa poetica e le soffocanti paludi di una noiosa retorica dei sentimenti.

ezio leoni - La Difesa Del Popolo   22 gennaio 2006