Pocahontas batte
Casper
3 a 1 (in percentuale d'incassi). Ormai l'appuntamento natalizio di casa
Disney è un successo annunciato che non ammette imprevisti. Certo
l'affermazione, l'anno scorso, del
Re leone
era stata ancora più eclatante, ma se facciamo il confronto con
Aladdin, Pocahontas promette meglio...
Discorsi da botteghino, da merce di scambio, eppure, permetteteci la polemica,
che altro è ormai questo cinema delle feste dedicato ai ragazzi? Prendiamo
Casper: la solita casa infestata
dai fantasmi, la solita bambina solitaria (e orfana di almeno un genitore),
le solite americanate con padri immaturi ma redimibili (con l'affetto
dei figli) e qualche cattivo di contorno pronto ad inguaiare per cupidigia
i buoni di turno. Con tutto ciò
Casper aveva ugualmente
dei margini per buona resa realizzativa e invece? Taglio fracassone, scenografia
da baraccone, tono mieloso nei momenti sbagliati, clima complessivo incerto
tra commedia per teen-ager e favoletta per bambini. Insomma né
carne né pesce, o meglio né carne né ectoplasma,
per questa insulsa versione spiritica di ET.
Ma non crediate che ci siamo entusiasmati col gadget-film del colossale
affare
Pocahontas (avete visto la tempesta mass-mediale che lo
circonda? Libri, fumetti, magliette, bamboline, cassette-plagio ecc.).
Il vero punto di forza di questo calcolatissimo cartone animato per bambini-adulti
(o viceversa) è lo strombazzato punto di vista political-correct.
Lei, la bella Pocahontas (forme disegnate da top-model) é donna
e pellerossa, come dire l'emblema delle classi defraudate dell'ultimo
secolo. E a lei è affidato il compito di ridare fiducia alla sintonia
tra i popoli, in questo caso tra gli indiani della Virginia e i colonizzatori
inglesi sbarcati in America agli inizi del 1600. C'è
un bellone di turno - il soldato John Smith - ad infiammarle il cuore,
c'è lo spasimante respinto - il guerriero Kokum - destinato a sparire
di scena, c'è il perfido emissario del Re, vanesio quanto avido,
c'è il saggio grande capo Powhatan. E c'è, ovviamente, tutta
l'abilità (e la retorica) della Disney capace di elettrizzare per
la ricchezza del contesto figurativo, per il divertente co-protagonismo
degli immancabili animali di contorno. Eppure, proprio sull'onda del sorriso
che gli squarci affidati al procione e ai suoi compari riescono a regalarci,
sorgono le perplessità sulla nuova linea del prodotto-Disney: storie
di "umani", storie senza animali parlanti o aneliti fantastici.
Ma se avventura ed emozione dev'essere, allora, in questo genere, meglio
la fiction con attori in carne ed ossa, meglio Indiana Jones, meglio
il glorioso Gli invincibili
di Cecil B. De Mille. Insomma ridateci
Biancaneve, Bambi e
Peter
Pan!
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