Swing,
l'ultima fatica del regista gitano nato ad Algeri, Tony Gatlif, è un film
che segue due fili narrativi precisi: l'educazione sentimentale di due
adolescenti, e il tributo tutto musicale allo swing dei Manouche, i nomadi
del ceppo zingaro più antico che dall'Europa orientale si spostarono in
occidente e che negli anni '30 inventarono un modo nuovo di fare swing
(detto anche gipsy jazz), legato alla tradizione afroamericana ma con una
connotazione fortemente europea.
Un'estate, il giovane Max viene spedito dalla madre a Strasburgo a
casa della nonna. Il ragazzo ha le idee chiare: nelle vicinanze c'è
un campo nomadi Manouche e questo rappresenta un'occasione unica per
imparare a suonare la chitarra prendendo lezioni da Miraldo, interpretato
dal grande chitarrista tzigano Tchavolo Schmitt, e che richiama, anche
in senso biografico, la figura leggendaria di Django Reinhardt, colui
che inventò lo swing manouche (ricordate
Accordi e disaccordi
di Allen?)
Il tramite che aiuta Max, prima a comprare una chitarra da Mandino
Reinhardt (altro grande musicista e nipote di Django Reinhardt), e
poi a entrare nella roulotte di Miraldo e convincerlo a impartirgli
le lezioni, è la zingara-manouche Swing, ragazzina dal carattere forte
e pieno di vitalità. Max così si appassiona sempre più alla cultura
musicale tzigana, ma nel frattempo scopre qualcosa di ancor più forte,
l'amore per Swing.
…Il film procede seguendo due diversi percorsi, anche se non esattamente
paralleli. Per un verso, siamo spettatori di una fiction vera e propria,
costituita dalle vicende dei due giovani protagonisti; per un altro,
con gli attori-musicisti che interpretano se stessi, è presente qualcosa
di più improvvisato e immediato. Gatlif come nei precedenti
Gadjo Dilo
e Vengo,
dimostra una vera predilezione per la musica (lui stesso qui è arrangiatore
e compositore di alcuni brani musicali). E nelle parti musicali niente
del suo lavoro ha l'aria di essere artefatto. C'è poco di didascalico,
neanche quando Max prende le lezioni da Miraldo. In questo, il regista
è coerente con il senso universale del film: le cose si fanno con
il cuore e la musica, come l'amore, è la cosa per eccellenza. Così,
i pezzi suonati durante le lezioni o alle feste, prendono corpo in
modo spontaneo e improvvisato, fuori da ogni scrittura e sceneggiatura.
Swing
si lascia guardare ed ascoltare come capitava in
Buena
Vista Social Club. Anche il film
dedicato ai grandi suonatori cubani indicava nel cuore, prima ancora
che nelle mani e nella testa, l'organo umano principale per affrontare
uno strumento. E poi come i protagonisti del documentario di
Wenders,
anche i Mandino Reinhardt e Tchavolo Schmitt sono degli outsider,
ossia dei grandi musicisti fuori mercato che sentono le note d'istinto
e non per ordine di una casa discografica. I violini, le chitarre,
le fisarmoniche e i banjo intonano melodie ovunque e in qualsiasi
momento. Non si è mai sazi, nemmeno dopo che si è suonato e bevuto
per tutta la notte. Finita la festa, si può andare in uno scantinato
e continuare a suonare, come il cuore continua a battere anche quando
si dorme…
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Il dodicenne Max
passa l’estate a casa della nonna. Lì vicino c’è il campo degli zingari,
dove vive un meraviglioso chitarrista, Miraldo. Max decide di prendere
lezioni da lui, ma nel frattempo si innamora di sua nipote Swing, coetanea
pestifera e ribelle. Nel precedente
Vengo, Gatlif narrava l’ambiente dei
gitani andalusi a ritmo di flamenco, ma con una prospettiva fin troppo
“interna”. Qui assume lo sguardo di un osservatore esterno per guidare lo
spettatore fra gli zingari di Strasburgo, abbastanza integrati e
stanziali. Il regista, che da oltre vent’anni filma con affetto e
partecipazione dl mondo gitano (da cui anche lui proviene alla lontana),
diviene particolarmente tenero, quasi elegiaco, non interessato alle
contraddizioni dell’universo zingaro (sia al proprio interno che rispetto
al contesto esterno). L’occhio del ragazzino fa scivolare tutto in
un’atmosfera da fiaba, assecondato da un uso accorto della musica e da una
maturità registica ormai pienamente raggiunta. Se forse ama troppo il
mondo che racconta, Gatlif lo conosce però assai bene e non scivola mai
nel folklore, Nei ruolo di Miraldo c’è Tschavolo Schmitt, leggendario
chitarrista gitano che interpreta quasi se stesso: il film, a tratti,
diviene anche un rispettoso documentario su di lui. |