LEGGERE
IL PREMIO
Esercizio critico, tra
riconoscimenti
ufficiali e memorie soggettive, della
Biennale
Cinema 1982
Venezia, Mostra del cinema del cinquantenario, grandi
celebrazioni (ma sempre con una certa moderazione),
grande giuria (Marcel Carné presidente, Luis Garcia
Berlanga, Mario Monicelli, Gillo Pontecorvo, Satyajit Ray,
Andrej Tarkowskiy e Valerio Zurlini); Lizzani finisce
dopo quattro anni il suo mandato e i meriti gli vengono
quasi all'unanimità riconosciuti (l'eccessivo accumulo
di pellicole - circa 150 in 10 giorni e la "trascuratezza"
dell'Officina, sono
i nei più evidenti): la Biennale cinema ha riacquistato
buona parte dei suo prestigio, nomi altisonanti l'hanno
onorata della loro presenza, la stampa le ha dedicato
pagine e pagine (La Repubblica e Il Tempo
in prima fila), la televisione l'ha vezzeggiata con gli
appuntamenti sornioni di Beniamino Placido.
Segnalazioni clandestine...
E premiazioni in "pompa magna"
(con tributo a W. W.)
Il film di Wenders è un'opera ricapitolativa del lavoro del giovane
regista tedesco; la sequenza iniziale sembra introdurci in un remake
fantascientifico (da The most dangerous man
alive di Alan Dwann), in realtà le immagini che vediamo
sono soltanto il "si gira" del prodotto in questione (I
sopravvissuti), inesorabilmente destinato all'incompiutezza. Manca
infatti la pellicola, il produttore Gordon non dà più notizie di sé
dopo che se ne è ritornato in America (la lavorazione avviene invece
sulla costa del Portogallo in un'ambientazione - grande albergo con
piscina - decrepita e "incombente"1)
e Friedrich, il regista, cerca di tessere l'armonia della troupe,
che invece tende all'isolamento ed alla demotivazione: Dennis, lo
sceneggiatore, si richiude a guscio sul suo soggetto davanti alla
macchina da scrivere, Martin, il fonico, cerca di captare i suoni
della disgregazione collettiva o della sua chitarra elettrica, Bill,
il direttore di produzione, prova a programmare sull'elaboratore elettronico
una sceneggiatura ottimale, Julia, dieci anni, gira in super-8 la
sua intrigante partitura visuale2.
Prima di Querelle e Gli occhi, la bocca era proprio questo il rivale più quotato di Wenders. Il riconoscimento consola il regista polacco per il Leone d'oro mancato (Imperative è il lavoro più fortemente interiorízzato; per una Mostra in vena celebrativa occorreva un'opera di forte modernità cinematografica come Lo stato delle cose), ma lascia ancor più la bocca amara a Carné ed ai tifosi di Fassbinder: questo premio speciale suonava implicitamente come già destinato al maestro di Monaco di Baviera. Il suo Querelle, barocca e degenerata discesa agli inferi (portuali) dell'essere umano è moralmente abbrutente e stilisticamente esasperato, ma quale occasione migliore di questa per una "dedica alla memoria" a uno dei più grandi registiautori contemporanei? In ogni caso la motivazione per Imperative è di una lapalissiana imparzialità: "un fibn che ha il merito di affrontare con grande forza emotiva un tema arduo e profondo quale la ricerca della libertà interiore dell'uomo".
Un'assegnazione ex-aequo a Il sapore dell'acqua (anche premio UNICEF) dell'olandese Orlow Seunke (fin troppo appassionato recupero di un'adolescente, regredita per i maltrattamenti subiti, da parte dì un ex burocrate dell'assistenza sociale) e Sciopen (Italia!) dì Luciano Odorisio. Che dire? Buon soggetto, discreta sceneggiatura, mediocre regia che tocca il fondo all'inizio (con Michele Placido e Giuliana De Sio goffi perfino nel sessualeggiare) e risale un po' la china nell'ultima parte...Non era meglio Il pianeta azzurro (gli è stato assegnato comunque il Premio Banca Cattolica del Veneto per un nuovo autore)? Forse il film di Piavoli resta soffocato da un'eccessiva staticità ittorìca ma almeno rasserena con la sua fresca scintilla poetico-naturalistica (ha riscosso le simpatie, tra l'altro, di Ermanno Olmi).
Il Premio
OCIC è scivolato (concedendo solo la
menzione speciale al ben più
meritevole Imperative)
su Lefte funf Tage (Gli
ultimi cinque giorni) di Percy AdIon elogiandolo
poiché "con sobrietà e coerenza il film rende
partecipi di un incontro umano fatto di amore e di
rispetto. Nell'evocazione di un fatto autentico, la fede
cristiana illumina e dona ad una giovane donna dignità e
coraggio di fronte ad un regime totalitario". La
tragica fine di Sophie Scholl, studentessa ventunenne,
giustiziata nel 1943 dai nazisti per i fatti de "Ia
rosa bianca" è certo opera di forte dignità e
solidarietà cristiana, ma risulta claustrofobicamente
ripetitiva, tesa più alla noia che agli stimoli di rìflessione
dell'opera di Zanussi. Ad essa è andato in ogni caso il
Premio Pasinetti, attribuito dagli
iscritti al Sindacato Critici Italiani. Questi hanno
insignito poi gli attori Susan Sarandon per Tempest (è la frizzante
compagna extraconiugale del protagonista John Cassavetes)
e Max Von Sydow che ne Il volo
dell'ingegner Andrée sfodera ancora una volta
la sua classe di interprete profondamente legato ai
valori intimi dell'uomo quali il dovere, l'amore, la
dignità, l'amor di patria, la morte.
Lacrime nostrane (con consolazione
emíliana) La cosa migliore "fatta in casa" resta (Grog, stringi stringi, non ha molto costrutto) il ritrovato Bellocchio: ne Gli occhi, la bocca ha il coraggio di rivisitare se stesso con un po' di follia, amarezza ed ironia. Ci troviamo di fronte ad un'altra famiglia "sui generis" ("non ci sono famiglie normali" sentenzia ad un certo punto il protagonista), la famiglia Pallidissimi: il figlio Giovanni, di professione attore, torna all'ovile per rendere omaggio al corpo del fratello gemello Pippo che si è appena suicidato con una pistolettata alla tempia. L'occasione del rientro in un nucleo sociale di un greve borghesismo (con "gli occhi e la bocca" all'erta nell'ascoltare con distacco e nell'azzardare velenosi giudizi) è anche verifica di un'esistenza insoddisfacente sia come persona che come professionista. Giovanni Pallidissimi incarna sia il deperimento della carriera di Lou Castel ("sono passato di moda") sia le inquietudini autoriali ma soprattutto familiar-sentimentali di Marco Bellocchio: entrambi campioni di dissacrazione nel 1965 con I pugni in tasca cercano oggi di rileggere se stessi e pure il proprio vecchio film. Giovanni va a "rivederselo" in un piccolo cinema assieme a Vanda (Angela Molina), la stranita ex fidanzata del fratello. Rivediamo scorrere la sequenza in cui Lou Castel - Sandro "accompagnava" la madre nel precipizio, ma di lì a poco il Lou Castel di Gli occhi, la bocca si trucca da fantasma di Pippo e "appare", provvido e commosso a fianco del letto della madre, ancora sconvolta e incredula. Il nuovo Bellocchio non ha il ribellismo confuso de I pugni in tasca ma neppure la pretenziosità intellettuale di Salto nel vuoto. E' un cinema spoglio, uno psicodramma irreale in cui un mesto stagnare di frasi e di sguardi ("gli occhi e la bocca" che non riescono ad esprimersi) si ravviva all'improvviso in sprazzi stralunati se non pazzoidi ("gli occhi" che indagano, "la bocca" che lacera il silenzio), in languidi desideri di comprensione e affetto ("gli occhi" che leggono nel profondo, "la bocca" che sussurra, dolcemente). Con un'atmosfera che mentre si delinea sembra ancora incerta sulle proprie connotazioni, con una emotività o portata all'isterismo o ridotta all'osso ("prima che finisca il film mi piacerebbe che tu cambiassi espressione") il regista emiliano rivela, ancora intatta, la sua sfacciataggine nel contorcerci sulle proprie nevrosi. Non siamo certo al capolavoro, ma almeno brilla una vivida verve autoriale: la carica vitalistica che serpeggia ne Gli occhi, la bocca rimane uno dei pochi, buoni segni di speranza, qui al Lido veneziano, per il nostro panorama nazionale.
e.l. Espressione Giovani settembre/ottobre1982 |
||
1 Il grande albergo ha ricordato a qualcuno il disfacimento di Marienbad e va notato inoltre come il Portogallo, estremo lembo pre-atlantico, si inserisca in quel fascino che Wenders sente e trasmette nei luoghi di confine (qui d'Europa). Ancora, il film inizia con una sequenza sul mare, così come Alice nelle città e Falso movimento. 2 E' l'estrapolazione del film (di Julia) del film (di Friedrich) nel film (di Wenders)! E va poi aggiunto il fatto che Joan, l'attrice madre della bambina amica di Julia, "gioca" a sua volta con una Polaroid (vedi Alice e L'amico americano) e quindi il meccanismo della rappresentazione iterata della realtà-finzione implica un ulteriore gradino. 3 Ma attenzione, il regista è chiamato pure Fritz e quando arriverà ad Hollymood calpesterà sul marciapiede la stella di Fritz Lang! 4 E sul finire, nelle sequenze USA, si scorge una sala che lo tiene in programmazione. 6 C'è di sicuro, nella vicenda del produttore-ostacolo, un minimo riferimento all'esperienza americana di Wenders, scontratosi per la realizzazione di Hammet con i problemi (finanziari e non) di Francis Ford CoppoIa. 7 E come in Viale del tramonto (Sunset Boulevard) Billy Wilder usava come attore Von Strolicim, qui Wenders fa recitare i registi Samuel Fuller (Lee, l'operatore, col suo immancabile sigaro), Roger Corman (l'avvocato che Friedrich incontra a Los Angeles) e Robert Kramer (l'operatore alla macchina) che è anche cosceneggiatore del film. |