Imperative
Krzysztof Zanussi - b/n  RFT 1982 - 1h 36'

  "Non mi avresti cercato so non mi avessi già trovato"

   "L'illuminazione è una rivelazione della mente. Nel momento di tale rivelazione lo spirito vede direttamente la verità così come gli occhi vedono il mondo reale. E la vede subito, senza la mediazione del ragionamento".
Augustin (Robert Powell), professore di matematica all'Università di Heidelberg, sembra non aver visto la prima tappa "filosofica" di Zanussi,
Illuminazione (le parole vengono dall'"enunciazione cattedratica" pronunciata in apertura dal filosofo polacco Tatarkiewicz) ed affronta la crisi ("di effetto non di causa"), che comincia a travagliarlo dopo una vita agiata in possibilità economiche ed intellettive, con il raziocinio deduttivo del ricercatore. Tutto "sembra" cominciare in un mattino decisamente grigio (il film è girato in bianco e nero), nella sua spaziosa stanza da letto, in un'alcova stranamente racchiusa in una specie di balaustra: la sua compagna, Yvonne (Brigitte Fossey), lo trova appollaiato sulla finestra a dissertare sulla libertà individuale e sul diritto del singolo a trasgredire la norma del placido vivere borghese ("l'adattamento alla sopravvivenza"), a tradurre i pensieri in esperienze. Lei cerca di tagliar corto ("un realista ci vuole se non altro per preparare la colazione a un visionario") e lui si cala mezzo nudo dal balcone fino in strada, per risalire con noncuranza dalla porta d'ingresso...
E' solo una scintilla di uno spirito risvegliatosi alfine alla ricerca più intima di se stesso e delle entità fondamentali che costituiscono l'architettura della nostra esistenza: le sue lezioni di matematica traspirano aneliti filosofici ("in matematica non si scopre ma si crea"), ha quasi una lite con un teologo che non sa dargli risposte definitive; va "in pellegrinaggio" a casa del suo vecchio docente col quale da anni, per rispetto e pigrizia, ha imbastito un dialogo via magnetofono. Qui ne conosce il confessore spirituale, un vecchio monaco ortodosso, pastore di una comunità serba ormai ridottissima, che vive come una piccola isola sacrale nel mondo protestante. La scoperta di un senso del sacro profondo e per lui troppo irrazionale ne acuisce il tormento interiore: l'inviolabilità dei vari oggetti "santi" accessibili solo al ministro di Dio lo fa sorridere ("e per le pulizie come fate?"), ma il sacerdote è serafico nella sua fede ("la sacralità non può essere discontinua"), nella sua responsabilità di impegno cristiano che non si ferma di fronte alle argomentazioni agnostiche ("perché servire Dio in una chiesa vuota?") e che sa trovare il proprio ruolo, ascetico ma fecondo ("solo la preghiera può prevenire i pericoli del mondo, ma così poca gente prega").
Uno studente universitario che ha elaborato un sistema per la roulette, riesce a ravvivare Augustin trasmettendogli un po' della propria euforia, al ritorno vittorioso dal Casinò. Ma l'azzeccare un numero giusto non è forse un semplice esercizio statistico? E il calcolo delle probabilità non va a toccare di nuovo insinuantemente, il problema della libera scelta?
L'evento critico è comunque la morte dell'antico maestro che lo porta ad interpretare shakespearianamente la cerimonia funebre e ad urlare al cielo le sue domande disperate davanti ad una tomba troppo muta. "Mi dia un segno" implora e, con la mistica sollecitudine delle coincidenze, un pezzo di neve cade dalla croce... Ma Augustin non è ancora pronto ad accettare la purezza della risposta e razionalizza freddamente "è il disgelo; è un processo fisico, la neve doveva cadere per la forza di gravità". Ormai è al limite della tensione (anche Yvonne l'ha da tempo lasciato): in una confusione spirituale totale entra nella chiesa e tenta la risorsa estrema del sacrilegio. Tocca gli oggetti sacri, sporca con un dito insanguinato i paramenti, ruba un'icona...
Alla profanazione non corrisponde però alcun segno tangibile e chiarificante, almeno esternamente. Nell'intimo di Augustin insorge invero un alienante processo schizoide e per il coma catatonico in cui cade non c'è altro luogo che il manicomio. Quale la cura? In precedenza egli aveva assistito, inorridito, al tentato suicidio di un malato fuggito proprio dall'ospedale psichiatrico e quel gesto drastico non si fa strada, per fortuna, nella sua mente; ma mentre lo psicanalista fa le sue elucubrazioni freudiane sulla profanazione, letta come atto di gelosia e di sfida alla madre (che se la fa con un uomo ancor più giovane di lui), Augustin percepisce il superamento del senso di colpa come eliminazione dell'oggetto primo della trasgressione: con un colpo di mannaia si amputa, brutalmente, il dito sacrilego.
La scena successiva, nel soffice biancore di un paesaggio innevato, visualizza con pacata armonia il passaggio cromatico: la nuova coscienza esistenziale di Augustin gli fa (e ci fa) vedere il mondo finalmente a colori e il sorriso rasserenante di Yvonne (un'interpretazione breve ma radiosa quella della Fossey, già ammirata ne
L'uomo che amava le donne e Quintet), che gli è di nuovo accanto, è sintomo del sollievo comune per il ritrovato equilibrio psichico. Ma è anche equilibrio esistenziale? Egli "è costretto" ad inginocchiarsi (almeno per allacciarsi una scarpa), disserta ancora su matematica e vita ("il deviare dalla normalità? E' questione di statistica"), sente forte ora la percezione del divino ("solo lui lo può sapere"), cita, in aperto ricollegarsi ad Illuminazione, Sant'Agostino: "Non mi avresti cercato, se non mi avessi già trovato".
Ma l'arrovellarsi interiore non è cessato: il suo dubbio non è più escatologico ma deontologico; "il problema non è se Dio esiste, ma se ha bisogno della mia vita" esclama, poi, puntandosi la mano monca alla testa, blatera ipotesi probabilistiche sui rischi della roulette russa... L'ultima immagine, con una risata che si congela in un sorriso ambiguo e in uno sguardo "lontano" tra la riflessione e l'abulia, è una grande pagina aperta di cinema, di rara limpidezza, che fonda la propria riuscita anche sull'impeccabile recitazione di Robert Powell.
L'attore inglese sa essere vibrante in ogni momento dell'interpretazione, il suo personaggio sembra aggrapparsi allo spettatore per trasmettergli la propria ansia interna ed il suo dramma esistenziale è la riprova della grande profondità e sincerità autoriale di Krzysztof Zanussi
film successivo in archivio.
Dopo la parentesi non del tutto felice di
Da un paese lontano egli ritorna qui, in un bianco e nero di estrema funzionalità, al suo registro più congeniale e, con un rigore ed una concretezza ancor più calibrati del solito, esterna la propria ricchezza umana di uomo colto in perenne ricerca. Dedito ad un cinema "teologico" Zanussi non si invischia nel romanticismo allegorico di Bergman ed usa una razionalità stilistica paragonabile alla mentalità di Augustin, ma lascia pure prorompere una feconda fiducia esistenziale che fa risaltare il suo ruolo di portavoce dell'ormai "rivelato" spirito polacco contemporaneo: " ... penso che in ogni caso il tono del film corrisponda alla tensione nella quale vivo come polacco. Nella quale ho vissuto prima del dicembre e ancor più dopo: la ricerca di valori assoluti che non si riesce a trovare, ma dei quali abbiamo un bisogno enorme... Non ho mai, nella mia vita, lottato tanto per salvare un film: un film che abbiamo girato con entusiasmo, anche se nelle condizioni più dure, perché la legge marziale in Polonia è stata proclamata proprio durante le riprese. Abbiamo finito in tempo malgrado le nostre condizioni psicologiche, malgrado il fatto che durante gli intervalli si ascoltasse la radio per sapere cosa stava succedendo in Polonia. Mai ho provato una sofferenza immediata così forte"
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Ma ciò che è affascinante in
Imperative è anche la grande disponibilità e competenza di un autore laico che si autocoinvolge in temi profondamente religiosi, come la sacralità, il rapporto tra fede cattolica, ortodossa e protestante, la situazione ecumenica postconciliare:
"in questa mia favola filosofica ho tentato di mettere a contrasto idee opposte. Volevo mostrare un genere di mentalità e di religíosità opposto a quello occidentale e protestante e ho ritenuto l'ortodossia adatta allo scopo. Dal punto di vista geografico e storico la situazione era perfettamente verosimile, inoltre la Chiesa ortodossa mostra di mantenere alti certi valori che sembrano affievolirsi in certo cattolicesimo occidentale, il quale mostra di avvicinarsi molto al protestantesimo... Parlo soprattutto del processo di desacralizzazione e razionalizzazione della liturgia e del rito. La liturgia si svolge ormai nella lingua parlata con tutti gli elementi psicologici e sociali, non c'è più il senso del mistero perché il sacerdote, quando celebra, si rivolge verso il pubblico e non verso il sacro, la confessione viene abbandonata perché ormai tutto è relativo e l'assoluzione è una cosa che uno si può dare da sé: sono tutti elementi di influenza protestante, con lo spirito speculativo che riduce la religione al livello parlato, celebrale. E il protestantesimo è una formazione cristiana che corrisponde perfettamente alla società capitalistica e industriale. Così oggi anche il misticismo nella Chiesa postconciliare si è parecchio ridotto".
Imperative è davvero un film per il quale i termini "filosofico, teologico, esistenziale" non suonano azzardati (Zanussi lo colloca, con Iluminacya - 73 - e Constans - 80, nella terna dei lungometraggi che predilige; tutti e tre film di "ricerca interiore"), ma lo spettro contenutistico è ancora più ampio: rimanda a Vita familiare (per il tema dell'incidenza sull'individuo dei diversi tipi di condizionamento, in particolare genetico oltre che sociale) e ripropone il problema della nazionalità di un autore (quest'ultimo lavoro è girato in lingua inglese, per conto di una controversa produzíone cinematografica e televisiva, in terra di Germania) che si trova a dover operare fuori del proprio paese, non più per scelta personale ma per un totale black-out sociale ed espressivo che lo costringe (per quanto ancora?) ad un esilio sofferto ed estraniante: "la mia maggiore preoccupazione riguarda la conservazione della mia identità in condizioni così difficili. Il cinema, con la sua più tipica caratteristica, che è fotografica, è sempre legato ad una certa lingua, ad un certo modo di vestire, ad una certa architettura, a un certo paesaggio. E' difficilissimo per me trovare gli ambienti o le storie che posso raccontare al pubblico occidentale dal mio punto di vista. Per questo nei miei ultimi progetti, nelle cose che ho scritto recentemente, mi sono rivolto alla storia, al passato perché su queste cose sono competente come i miei contemporanei italiani, occidentali in generale. Della storia che abbiamo vissuto insieme possiamo parlare con lo stesso diritto. Oppure mi rivolgo ad ambienti particolari nei quali mi sento di casa, come quello universitario; e così è in Imperative, dove non c'è un ambiente realista, l'università è un luogo letterario. Quest'ultimo è appunto un modo di sopravvivere ..."

ezio leoni - Espressione Giovani settembre-ottobre1982

Le dichiarazioni di Krzysztof Zanussi (in corsivo nero) sono ricavate da "La favola filosofica di un vecchio matematico tra numeri e tavolo verde" di Paolo D'Agostini (La Repubblica, 26 settembre 1982) e da un'intervista realizzata da Espressione Giovani in collaborazione con gli inviati de Il Sabato e La Rivista del Cinematografo (Festival di Venezia - settembre 1982)

Soggetto e sceneggiatura: Krzysztof Zanussi. Consulente per i dialoghi: David Robinson.
Fotografia: Slawomir Idziak. Montaggio: Liesgret Schmitt-Klink.
Tecnico del suono: Werner Maier. Musica: Wojciech Kilar eseguita dalla Rundfunk Sinfonie-Orchester di Saarbrucken diretta da Halmut Fackler. Art director: Friedhelm Bóhm. Costumi: Anna Biedrzycka-Sheppard.
Produttore: UIrich Nagel. Produttore esecutívo: Peter Wohlers. Casa di produzione: Telefilm Saar GmbH / Saarlaendischer Rundfunk.

Interpreti: Robert Powell (Augustin), Brigitte Fossey (Yvonne), Sigfrit Steiner (il professore), Matthias Habich (il teologo), Leslie Caron (madre di Augustin), Jan Biczycki (il prete), Zbiegniev Zapasiewicz (lo psichiatra), Eugeniusz Priwiezienzew (un paziente), Christoph Eichhorn (lo studente), Hans-jórg Frey (l'assistente).