Philip, professione fonico, arriva a Lisbona, chiamato dall'amico regista Friedrich che sta girando un documentario muto e in bianconero. Trova solo una casa vuota e le pizze del materiale girato. A spasso per Lisbona, in cerca di suoni e di notizie dell'amico, l'alter ego-wendersiano porta lo spettatore a catturare la realtà viva della città portoghese. Ma per essere cinema, le immagini filmate hanno bisogno della partecipazione dell'autore, dell'innesto verace delle musiche dei Madredeus... (e.l.) |
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da Cineforum (Federico Chiacchiari) |
Tra suoni immagini colori sguardi e commozioni
Wenders
comunica "totalmente"
il suo cinema, fatto di tutti i sensi possibili, mixati in un concentrato
di riflessione, teoria, emozione, passione, deliberata dichiarazione
d'amore, per il cinema, per la vita. [...] Dunque tutto nasce su commissione,
che meraviglia! Come a Hollywood! O come in Francia per la splendida
serie
Tous les sarcons.
Un documentario su Lisbona. È, per Wenders, il piacere di tornare
sul luogo dove girò Lo
stato delle cose. Cinema come
piacere di girare, appunto, come prima, il mondo, la pellicola, le
idee, ecc... È poi trasformare il tutto in un super-appunto su vita,
calore, musica, suoni, luci, cinema. Cioè trasformare un documentario
su una città, bellissima, Lisbona, in un film, in cui la città pulsa
nei fotogrammi, nel vagare di Phillip Winter/Rudiger Vogler
Nel corso del tempo
come Alice nella città,
Fino alla fine del mondo...
Wenders adora e rispetta le sue città. Le vive tanto intensamente
da farle sue, immagazzinandone gli umori, trattenendone i respiri,
i fruscii, vi si immerge completamente. È forse questo suo essere
continuamente "straniero in terra straniera" che gli fa
avere questa attenzione, quasi devozione per ciò che non gli appartiene
ma a cui vorrebbe appartenere. Egli
sa bene che in questo suo peregrinare in giro per il mondo non è più
di nessun luogo ormai. Oppure di tutti, splendido cineasta apolide,
cosmopolita, eppure così intimamente "europeo", così legato
a doppio-triplo filo con la cultura millenaria di una "nazione"
incompiuta, eppure ormai tanto "unica" («cambiano le
lingue - dice Phillip - la musica, le notizie sono diverse...
ma i panorami parlano lo stesso linguaggio, raccontano tutti le stesse
storie di un vecchio continente pieno delle sue guerre e delle sue
tregue...»). Tutto parte dalla città, per finire, come sempre,
con il cinema. Ma il cinema e la città moderna sono legati l'un l'altra,
e l'uno non avrebbe senso senza il respiro profondo dell'altra [...]
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da Il Giorno (Morando Morandini) |
In
Lisbon Story
conta anzitutto la colonna sonora e musicale. Diciamo subito che, affidata
al quintetto dei Madredeus, la musica nel film e sul film è una componente
importante del piccolo fascino. Fin troppo, direi. Non soltanto attraverso
Teresa Salgueiro, la giovane cantante del gruppo (voce purissirna,
luminosa, bellezza bruna), Wenders ha insinuato una delicata dose di
"romance" nella storia, ma, a scapito del ritmo narrativo, s'è arrischiato
a mettere in fila due esecuzioni. I Madredeus fanno una musica
inconfondibilmente portoghese, ma non triste, con poca "saudade", solare
più che notturna La colonna sonora? Esistono almeno due precedenti
illustri di film, entrambi thriller, che hanno al centro la figura di un
tecnico del suono (un affascinante Coppola:
La conversazione
- 1974, e un buon De Palma: Blow Out
- 1981), ma, a memoria nostra, è la prima volta che un fonico è
protagonista di un film. Giacché i riferimenti a un capolavoro di Buster
Keaton (The Cameramen,
1928) sono espliciti anche con un divertito omaggio finale,
Lisbon Story
poteva intitolarsi "The Soundman". |
TORRESINO ottobre-dicembre 2004