Cosa
genera l’emozione in un film? Per cosa lo ascriviamo nel nostro immaginario?
Spesso basta una scena memorabile, il suo inizio (incipit), la sua
fine (excipit). Come archiviare un film quale Il
Signore degli Anelli,
che annovera tre inizi e tre finali? Va detto subito che, se le invenzioni
narrative d’apertura sono strabilianti (dopo il prologo ne
La compagnia dell’anello e la lotta infuocata tra Gandalf e
il Balrog ne
Le due torri, è la volta del “prequel” sulla crudele avidità
che si impossessa di Smeagol),
la conclusione della saga
è forse il momento meno entusiasmante del
capolavoro di Peter Jackson.
L’atmosfera agreste della Contea, che accoglie “distratta”
i
quattro hobbit (nessuna intrusione del male da sconfiggere come avveniva
nel libro) e dalla quale si svincolano
Bilbo e
Frodo
(“segnati” dall’esperienza dell’anello, si imbarcano
con
gli elfi verso la terra dei Valar), eleva Sam
a protagonista definitivo di un’era di pace (in perfetta sintonia
col testo di Tolkien la frase finale e l’immagine della porta tonda
con l’anello!), ma sospende l’epica e non perpetua la fascinazione
fantastica che era scaturita, nel primo atto, all’apparire sullo schermo
del lande “lontane” della Terra di mezzo.
Per apprezzare in toto Il Signore degli Anelli bisogna allora
rinverdirne l’esperienza complessiva, riallacciare i fili dell’emozione
distillata nelle tre parti di cui questo
Il ritorno
del Re
è la summa in esplosione d’avventura e finalità d’intenti. Lavorando
sempre in parallelo sui più piani del racconto Jackson segue la missione
di
Frodo e
Sam
che, con l’infida guida di Gollum,
si avvicinano al monte Fato. Per coprire la loro
avanzata
Aragorn
e Gandalf
rischieranno la disfatta totale sotto i cancelli di Mordor. Ma, prima,
il compiersi epico della trilogia di Tolkien & Jackson ha trovato
momenti straordinari di visionarietà e drammaturgia: l’ardita architettura
della città di Minas Tirith (monumentale spirale di mura bianche che
svettano verso il cielo), la carica suicida dei cavalieri di Gondor
verso Osgiliath (una citazione di La
carica dei 600 di Curtiz?) accompagnata
dal mesto canto di Pipino,
la furia shakespeariana del sovrintendente Denethor
che vuole immolarsi sul rogo con Faramir
,
il figlio reietto; i fuochi accesi sulle vette a propiziare l’alleanza
delle genti libere delle Terra di Mezzo, le orde di Sauron che invadono
i campi di Pelennor e attaccano Minas Tirith, l’impeto di
Gandalf
che sale a cavallo per la città incitando alla lotta, l’infuriare
della battaglia con l’arrivo delle truppe di Rohan, il dirompente
assalto dei mostri volanti dei Nazgul e degli olifanti di Harad, le
funamboliche prodezze di Legolas, il coraggio di Merry
e Pipino,
la forza vendicatrice di Eowin,
il brulicare fosforescente dell’Armata dei Morti (un tributo a Ray
Haryhausen e al suo Gli argonauti)
che sancisce la vittoria con il ritorno del Re, Aragorn,
figlio di Arathorn , erede di Isildur...
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Nel frattempo anche il cammino di Frodo
e Sam
è stato irto di difficoltà (il tradimento di Gollum,
l’agguato del ragno Shelob), ed è proprio per arrivare alla topica
distruzione dell’anello e al fine
ultimo dell’apologo che Jackson si permette di estraniarsi dall’originale
di Tolkien e di fare del “suo” Signore degli Anelli, un film
del nuovo millennio, cinquant’anni dopo la pubblicazione del romanzo,
oltre un secolo dopo l’invenzione del cinema. La potenza figurativa
di montaggio ed effetti speciali, l’inebriarsi delle riprese aeree,
la ridondanza dell’action movie e della verve splatter del regista
di
Creature
del cielo (ma anche di
Splatter gli strizzacervelli
e di Sospesi nel tempo…)
nulla tolgono allo struggente conflitto interiore di una civiltà fantasy
sull’orlo del precipizio. La personalità schizoide di Gollum-Smeagol
è, con evidenza, sopra le righe (sempre eccezionale l’attore-mimo
Andy Serkis), il contagio della malvagità fa diventare spettrale il
volto di Frodo
più della puntura mortifera del ragno e la complessità dei rapporti
interpersonali rende ragione di un’epica che si inebria nelle dispute
psicologiche, che instilla il germe della solidarietà, che mette per
immagini un monito che vale sia per i suoi eroi immortali che per
noi spettatori, avvinti da un universo fantastico così verosimile:
“come si fa (dopo tante mirabolanti avventure e tanti esaltanti
sconfinamenti nell’immaginario cinematografico) a riprendere le
fila della vecchia vita?”