Il Signore degli Anelli - Il ritorno del Re
(THE LORD OF THE RINGS - The Return of the King )
Peter Jackson
- Nuova Zelanda/USA 2003 - 3h 20'


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   Cosa genera l’emozione in un film? Per cosa lo ascriviamo nel nostro immaginario? Spesso basta una scena memorabile, il suo inizio (incipit), la sua fine (excipit). Come archiviare un film quale Il Signore degli Anelli, che annovera tre inizi e tre finali? Va detto subito che, se le invenzioni narrative d’apertura sono strabilianti (dopo il prologo ne La compagnia dell’anello e la lotta infuocata tra Gandalf e il Balrog ne Le due torri, è la volta del “prequel” sulla crudele avidità che si impossessa di Smeagol), la conclusione della saga è forse il momento meno entusiasmante del capolavoro di Peter Jackson.
L’atmosfera agreste della Contea, che accoglie “distratta”
i quattro hobbit (nessuna intrusione del male da sconfiggere come avveniva nel libro) e dalla quale si svincolano
Bilbo e Frodo (“segnati” dall’esperienza dell’anello, si imbarcano con gli elfi verso la terra dei Valar), eleva Sam a protagonista definitivo di un’era di pace (in perfetta sintonia col testo di Tolkien la frase finale e l’immagine della porta tonda con l’anello!), ma sospende l’epica e non perpetua la fascinazione fantastica che era scaturita, nel primo atto, all’apparire sullo schermo del lande “lontane” della Terra di mezzo.
Per apprezzare in toto Il Signore degli Anelli bisogna allora rinverdirne l’esperienza complessiva, riallacciare i fili dell’emozione distillata nelle tre parti di cui questo
Il ritorno del Re è la summa in esplosione d’avventura e finalità d’intenti. Lavorando sempre in parallelo sui più piani del racconto Jackson segue la missione di Frodo e Sam che, con l’infida guida di Gollum, si avvicinano al monte Fato. Per coprire la loro avanzata Aragorn e Gandalf rischieranno la disfatta totale sotto i cancelli di Mordor. Ma, prima, il compiersi epico della trilogia di Tolkien & Jackson ha trovato momenti straordinari di visionarietà e drammaturgia: l’ardita architettura della città di Minas Tirith (monumentale spirale di mura bianche che svettano verso il cielo), la carica suicida dei cavalieri di Gondor verso Osgiliath (una citazione di La carica dei 600 di Curtiz?) accompagnata dal mesto canto di Pipino, la furia shakespeariana del sovrintendente Denethor che vuole immolarsi sul rogo con Faramir , il figlio reietto; i fuochi accesi sulle vette a propiziare l’alleanza delle genti libere delle Terra di Mezzo, le orde di Sauron che invadono i campi di Pelennor e attaccano Minas Tirith, l’impeto di Gandalf che sale a cavallo per la città incitando alla lotta, l’infuriare della battaglia con l’arrivo delle truppe di Rohan, il dirompente assalto dei mostri volanti dei Nazgul e degli olifanti di Harad, le funamboliche prodezze di Legolas, il coraggio di Merry e Pipino, la forza vendicatrice di Eowin, il brulicare fosforescente dell’Armata dei Morti (un tributo a Ray Haryhausen e al suo Gli argonauti) che sancisce la vittoria con il ritorno del Re, Aragorn, figlio di Arathorn , erede di Isildur...

Nel frattempo anche il cammino di Frodo e Sam è stato irto di difficoltà (il tradimento di Gollum, l’agguato del ragno Shelob), ed è proprio per arrivare alla topica distruzione dell’anello e al fine ultimo dell’apologo che Jackson si permette di estraniarsi dall’originale di Tolkien e di fare del “suo” Signore degli Anelli, un film del nuovo millennio, cinquant’anni dopo la pubblicazione del romanzo, oltre un secolo dopo l’invenzione del cinema. La potenza figurativa di montaggio ed effetti speciali, l’inebriarsi delle riprese aeree, la ridondanza dell’action movie e della verve splatter del registadi Creature del cielo (ma anche di Splatter gli strizzacervelli e di Sospesi nel tempo…) nulla tolgono allo struggente conflitto interiore di una civiltà fantasy sull’orlo del precipizio. La personalità schizoide di Gollum-Smeagol è, con evidenza, sopra le righe (sempre eccezionale l’attore-mimo Andy Serkis), il contagio della malvagità fa diventare spettrale il volto di Frodo più della puntura mortifera del ragno e la complessità dei rapporti interpersonali rende ragione di un’epica che si inebria nelle dispute psicologiche, che instilla il germe della solidarietà, che mette per immagini un monito che vale sia per i suoi eroi immortali che per noi spettatori, avvinti da un universo fantastico così verosimile: “come si fa (dopo tante mirabolanti avventure e tanti esaltanti sconfinamenti nell’immaginario cinematografico) a riprendere le fila della vecchia vita?

ezio leoni - La Difesa Del Popolo  1 febbraio 2004






11 OSCAR:
FILM - regista - sceneggiatura non originale - montaggio - scenografia -
costumi - trucco - sonoro - effetti visivi - canzone originale - colonna sonora originale