Questioni
di frammentazione. È quasi imbarazzante non essere del tutto solidali
con l’ondata positiva dei pareri critici sul secondo appuntamento
cinematografico con Il
Signore degli Anelli.
Ma le perplessità sono “in relativo” (il primo impatto
con il maxi-film di Jackson forse ci aveva troppo avvinti) e non possiamo
non concordare con il piacere della visione che anche in questo
secondo
tomo “buca” lo schermo.
Il
flusso narrativo riprende esattamente dove si era interrotto e,
con
un’ardita panoramica tra le cime innevate delle montagne (i movimenti
di macchina di Jackson negli spazi aperti hanno un tocco sempre inebriante!),
ci riporta al procedere di Frodo e Sam sulla via di Mordor. Nella
rivisitazione del
travolgente
duello tra Gandalf e il Balrog,
il sogno-incubo di Frodo è un’esplosione di energia figurativa e la
magia del racconto mitico si ricrea, intatta e sfavillante. L’evolversi
de Le
due Torri
può riprendere il percorso del testo di Tolkien, riafferrare le fila
delle peregrinazioni dei dispersi “compagni di viaggio”, entrare nel
vivo degli eventi: Merry e Pipino vengono a contatto con Barbalbero
ma anche la loro
avventura
nella foresta vivente si fa
da parte per lasciar spazio alla vitalità dell’azione eroica di Aragorn,
dell’elfo Legolas e di Gimli il nano.
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Con
un montaggio parallelo molto lineare (ma talvolta non così incisivo)
i tre nuclei della storia procedono affiancati e, se il corpo narrativo
si illanguidisce nelle
parentesi
romantiche di Aragorn e Arwen,
gli danno altresì vigore nuovi personaggi: Theoden,
sovrano carismatico del regno di Rohan, sua nipote Eowyn,
figura femminile altera e dolce (specie nelle attenzioni verso Aragorn),
ma
soprattutto l’infido e patetico Gollum,
prodigioso amalgama di interpretazione d’attore ed effetti digitali,
mostriciattolo schizoide di continuo dibattuto tra lealtà e perfidia,
tra la sua originaria personalità (il placido Smeagol) e la bieca
deformazione in corpo e anima che su di lui ha provocato il possesso
del magico anello (poi sottrattogli da Bilbo, ricordate?). Ma tutto
lo svolgersi de Le Due Torri è teso all’affresco bellico: la
gente di Rohan si è asserragliata nella fortezza al fosso di Helm,
un esercito di elfi li ha raggiunti in un rinnovarsi di antiche alleanze,
Aragorn, Legolas e Gimli sono pronti
a porre il proprio coraggio al servizio della battaglia: con l’arrivo
delle sterminate armate di Saruman sarà violenta e cupa (di notte
sotto una pioggia incessante), ma sfolgorante dei bagliori della guerra
e della ricchezza scenografica che il dinamismo della regia e il potere
evocativo del digitale rendono davvero memorabile. Le citazioni si
sprecano, dalle truci atmosfere del Macbeth alle ariose coreografie
di Kurosawa, dai riferimenti pittorici preraffaeliti (Paolo Uccello)
agli incombenti eserciti di Ejzenstein. L’impeto delle orde degli
Uruk-hai si infrange contro il disperato valore del popolo degli uomini
e degli elfi di nuovo riuniti (una riuscita invenzione di Jackson
rispetto al testo originale), il sopraggiungere di
nuove
forze
guidate da Gandalf (ora “il
Bianco”, dopo aver vinto il suo duello nelle viscere della terra),
le sortite impavide di Aragorn e compagni, tengono banco, mentre nella
piana di Isengard gli esseri-albero (Ent), sobillati da Merry e Pipino,
travolgono con un’inondazione la fonderia di mostri di Saruman e Frodo,
Sam e Gollum, dopo essere stati catturati dagli uomini di Gondor e
minacciati dai Cavalieri Neri (Nazgul), riprendono la via e la missione
contro Sauron.
Tutto è accaduto e niente è successo. Il potere malefico dell’Anello
non è ancora stato debellato e insidia sempre più lo spirito di Frodo,
la strada per Mordor è
ancora
lunga e, visto il titolo (di contemporanea evocazione!), di questo
secondo “capitolo” tolkeniano, Jackson, per bocca di Sam, può prendersi
la licenza di esprimere un intrigante monito sui destini comuni, su
“la fine” e “il fine” dei paladini del bene: “nelle grandi storie,
quelle veramente importanti, piene di pericoli e di oscurità… certe
volte ti chiedevi come poteva finire bene, come avrebbe potuto il
mondo tornare indietro…”
Se, con tante meraviglie nell’universo del mito e delle immagini,
la suggestione del primo episodio non ci sembra del tutto ricreata,
forse è davvero solamente un problema di approccio frammentario. Il
fascino di un’opera così ampia e sfaccettata, sulle pagine e nei fotogrammi,
sta anche nel corpo unico dell’emozione.
La
Compagnia dell’Anello ci ha aperto la via ad una stupenda esperienza
fantastica.
Le
Due Torri la consacra in coerente strategia (non solo di avventure
belliche e invenzioni sceniche). Al conclusivo
Il
ritorno del Re, come in ogni sapiente architettura narrativa,
il compito di chiudere il cerchio e ricomporre quell’emozione.