Il sapore della ciliegia
(Ta'm e guilass) |
Palma d'oro (ex aequo con L'anguilla)
L'amore per il cinema di Kiarostami è un amore sofferto, privato dell'accattivante confidenzialità narrativa della finzione, ma intenso proprio per l'estraniante modalità neorealistica della suo costrutto, per la rarefatta veridicità del suo assunto poetico. Chi si è confrontato con la "trilogia del Kokher" (Dov'è la casa del mio amico, E la vita continua, Sotto gli ulivi) o con la contraddizione della verosimiglianza di Close Up ha ritrovato nel suo cinema quell'ostico, aureo incanto con cui il film d'autore spesso contrappunta la sua invitta personalità. Nel caso di Kiarostami, iraniano, attento alle dinamiche semplici del vissuto quotidiano, legato all'infanzia, all'amicizia, all'amore, ma anche alla sottile complessità del reale e della sua rappresentazione, la purezza e il rigore stilistico raggiungono un'essenzialità totalizzante. Il parlare, nel suo caso, di percorso esistenziale, corrisponde ad intraprendere un vero itinerario cinematografico attraverso luoghi e volti di una mondo scarno e scarnificato (nella trilogia lo spunto d'insieme era il terremoto del '90), spesso al volante di un'automobile, in continuo peregrinare tra periferie deserte, strade in terra battuta, tortuosi, brulli paesaggi. Gli archetipi della sua introspezione pseudo-documentaristica si ritrovano tutti in Il sapore della ciliegia che scava ancor più nell'essenzialità del vivere mettendo in scena l'andirivieni (in auto ovviamente, su e giù per i dintorni di Teheran) di Badii, un uomo votato al suicidio che cerca chi lo accudisca all'alba del suo estremo giorno. Ciò che chiede è ben poca cosa. Si è già preparato una fossa, ma ha bisogno che qualcuno, al mattino, verifichi se davvero ha avuto la forza di portare fino in fondo la sua scelta: che gli dia una mano se lo troverà ancora in vita o che, in caso contrario, gli getti sopra qualche badile di terra. I suoi primi interlocutori un militare di leva e un seminarista rifiutano scandalizzati e infastiditi, ma alfine un vecchio accetta lo strano incarico, non senza avergli però prima raccontato la propria esperienza di un tentato suicidio vanificato in extremis dalla casuale riscoperta del gusto del vivere. Che è poi "il sapore della ciliegia" del titolo, limpida sintesi metaforica di una provocazione etica e intellettuale che non rinuncia mai al rigore della composizione (quale sarà l'effetto sul pubblico medio attirato dalla Palma d'oro?) e che ricompone nel finale l'enunciazione "aperta" di Kiarostami sulla riflessione metalinguistica del cinema. |
ezio leoni - La Difesa del Popolo 26 ottobre 1997 |