E la vita continua
(Zendegi Edamé Dârad) |
da Sette - suppl. Corriere della sera (Paolo Mereghetti)
Dove finisce la realtà e comincia la finzione, al cinema? A questa domanda, su cui tanti sostenitori del cosiddetto neorealismo italiano dovrebbero riflettere con un po' di rigore, E la vita continua dà una risposta personalissima e straordinaria. Partendo da un fatto reale - in un paesino di montagna, sotto le macerie del terremoto che ha sconvolto l'Iran nel 1990, ci potrebbero essere anche i bambini che avevano recitato in un suo precedente film, Dov'è la casa del mio amico? - Kiarostami inventa la storia di un regista che decide di andare a visitare quei luoghi. Da una parte c'è l'occhio che guarda la realtà: le macerie del dopo terremoto, la disperazione delle persone, la voglia di tornare a sperare, il bisogno di dimenticare. Dall'altra c'è l'occhio che riflette sulla finzione: quella del protagonista che interroga, commenta, a volte giudica. A mano a mano che il viaggio prosegue, i due sguardi (cioè i due livelli della narrazione) si intrecciano in maniera sempre più stretta, il parabrezza dell'auto su cui l'uomo attraversa le zone devastate dal terremoto diventa la finestra (lo schermo?) attraverso cui il mondo entra nella sua vita e l'auto che prima era una specie di difesa si apre - non solo metaforicamente - al coinvolgimento, all'aiuto, alla lezione morale. E alla fine, davanti alla poesia di questi sguardi, impariamo a capire meglio gli uomini e a stimare di più anche il cinema. Straordinario.
da La Repubblica (Paolo D'Agostini)
Delusione, ha spiegato Kiarostami, provocò nel
pubblico iraniano la scelta di non arrivare al punto e di non mostrare il ragazzo
e gli altri protagonisti ritrovati (peraltro essi stessi avevano reclamato una
partecipazione al nuovo film: Kiarostami
si limita invece a mostrare i due personaggi principali di Dov'è
la casa del mio amico? in controluce, quindi irriconoscibili, nella scena finale).
Ma ha fatto bene, perché così è più forte la percezione
dello spirito del film, la minuta registrazione "sul campo" della
grande e antiretorica verità espressa dal titolo: lo spirito di un cinema
al servizio della vita, testimone della sua forza, della sua bellezza; della
sua continuazione malgrado tutto.
"Nel Nord dell'Iran, dove avevo girato il mio film precedente
Dov'è la casa del mio amico? si abbattè nel '90 un
terribile terremoto. La radio annunciava che il 95% della popolazione era
morta sotto le macerie. Tre giorni dopo sono partito alla ricerca dei ragazzi
che avevano recitato nel film, ma non li ho trovati. Allora ho scritto
la sceneggiatura ispirata a questo fatto reale..."
Abbas Kiarostami |