Cinema “da camera” quello degli ultimi anni di
Alain Resnais, cinema
d'avanguardia quello con cui si è proposto al mondo negli anni '60, cinema
sempre personalissimo quello della sua filmografia (20 titoli), “denso” di
riflessioni intellettuali sull'amore, la vita, il linguaggio
cinematografico e “lieve” nell'affrontare con ironia introspettiva le
contraddizioni esistenziali dei suoi personaggi.
Gli esordi evidenziano una sensibilità artistica e sociale memorabile (i
documentari dedicati a Van Gogh, Gauguin e Picasso; l'episodio,
straziante, sull'olocausto di
Notte e nebbia, 1956), ma la folgorazione cinefila, in sinergia con la nouvelle vague, avviene con
Hiroshima mon
amour (1959) che sospende il tempo del racconto (l'alternanza di flashback
e flashfoward) e sublima la suggestione della visione (lo splendore del
bianco e nero di Michio Takahashi e Sacha Vierny) riuscendo a mettere in
scena con straordinaria coerenza stilistica e drammaturgica la complessità del
romanzo di Marguerite Duras.
Più esasperante, nella sua ondivaga lentezza, il capolavoro successivo
(1961, da uno script di Alain-Robbe-Grillet)
L'anno scorso a Marienbad,
vincitore del Leone d'oro a Venezia e tappa estrema della ricerca di
Resnais sul tempo e la memoria, sulla prigione esistenziale di un presente
e di uno spazio che cadenzano l'incomunicabilità dei due “imperfetti”
amanti (Giorgio Albertazzi e Delphine Seyrig).
Bisogna andare al 1977 per ritrovare un altro (controverso) capolavoro,
quel
Providence che ripropone un nuovo spiazzante intreccio tra realtà e
immaginazione, tra ricordi e fantasie: la tormentata notte dell'anziano
scrittore interpretato da John Gielgud dilata, in un intrigante gioco di
specchi, uno spaccato familiare ove insoddisfazioni e rimorsi si scontrano
con l'inesorabile fluire del tempo.
È un'inaspettata sorpresa la lievità su cui si costruisce invece, nel
1980,
Mon oncle d'Amerique (premio speciale della giuria a Cannes),
un'originalissima destrutturazione del determinismo evolutivo del
sociobiologo Henri Laborit, che interviene sullo schermo in prima persona
per illustrare le sue teorie sul comportamento umano e sul funzionamento
del cervello: le “cavie” cinematografiche hanno le fattezze di Gérard
Depardieu, Nicole Garcia, Roger Pierre, l'intreccio tra teorie
scientifiche e comportamenti umani prende come modelli di riferimento il
miti dello schermo, da Jean Gabin a Jean Marias...
Una parentesi a sé stante, ma esemplare del cinema di Resnais degli anni
'90, è il dittico
Smoking-No smoking, due film “gemelli” che traggono
ispirazione da un ciclo di commedie scritte dal drammaturgo inglese Alan
Ayckbourn, incentrate su un dipanarsi narrativo che gioca a rimpiattino
con l'alternanza delle scelte. Due soli attori in nove ruoli, situazioni
ed eventi che si inseguono e si contraddicono, si scambiano e si
riconfigurano a seconda del “se invece” messo in atto dai personaggi;
molteplici le “soluzioni” possibili (sei i finali proposti), esibito
l'approccio teatrale (l'azione che si svolge in esterni nella campagna
inglese è tutta ricostruita in studio), magistrale la resa recitativa
della coppia Pierre Arditi - Sabine Azéma. Un ipertesto a cui lo
spettatore deve affidarsi con “faticosa” complicità diegetica ma da cui è
ripagato, tra paradossi e ironie, con un impagabile intarsio di farsa e
melodramma.
Con
Parole, parole, parole (1997) Resnais si toglie lo sfizio di comporre
un'acrobazia esistenzial-musicale, distillando una pochade
pseudosentimentale che, orchestrando raffinate trame amorose, dà vita ad
una divertente commedia degli equivoci in cui la voce del sentimento è
amplificata, rivitalizzata, sostituita da quella di indimenticabili brani
della canzone francese: da Joséphine Baker a Charles Aznavour, da Gilbert
Bécaud a Sylvie Vartan...
E se con
Cuori (2006) ci si affida nuovamente ad un lavoro teatrale di Alain Ayckbourn per una
ronde di ovattata, amabile malinconia è
Gli amori folli,
del 2009, l’ultimo lavoro dello scomparso maestro francese con cui
possiamo confrontarci, poiché i due successivi
Vous n'avez encore rien vu
(2012) e
Aimer, boire et chanter (2014) non hanno avuto per ora
distribuzione in Italia. Ancora una volta un cast di attori sodali (André
Dussollier, Mathieu Amalric e, ovviamente, la moglie-musa Sabine Azéma),
ancora una volta uno spaesamento narrativo costruito sul concatenarsi di
malintesi e bizzarre casualità, “guidato” dalla voce fuori campo con cui
il protagonista chiede attenzione e riconoscenza.
La stessa che dobbiamo,
dopo 55 anni di fedele servizio all’immaginario cinematografico, ad Alain
Resnais.
ezio leoni
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settembre 2014 |