Un film aereo,
volteggiante, un po' folle come il titolo, Les herbes folles. Si sente aleggiare un
sorriso sapiente, alla Raymond Queneau, mentre una voce off racconta la
storia bizzarra di un possibile amore: protagonisti una dentista con
l'hobby del volo e un padre di famiglia disoccupato. Nel prologo,
ammirevole per grazia e inventiva, si assiste al gioco del caso che
mette in relazione i due sconosciuti: un portafoglio rubato a lei e
ritrovato dall'uomo in un parking. Segue una storia di telefonate,
incontri e malintesi suddivisa in otto fasi, corrispondenti alle regole
per pilotare un velivolo. Per Alain Resnais è il primo adattamento
da un testo letterario; ma come sempre il regista veterano se ne
appropria, annettendolo al proprio inconfondibile universo filmico.
Roberto Nepoti - La Repubblica
Chi
ha detto che il cinema è un mestiere da giovani? Alain Resnais ha cominciato a fare
film nel 1946 e non ha ancora smesso di stupirci. Ogni titolo una nota
diversa, e sempre nuova di zecca. Ogni film un'avventura che sbeffeggia
e insieme completa le altre. Il tutto marciando con passo deciso verso
una leggerezza che incanta e stupisce nel regista di Hiroshima mon
amour. Dev'essere un privilegio dell'età: sono i grandi vecchi i
primi e più accesi sperimentatori (nessuno, in questo senso, batte il
centenario De Oliveira). Sono i registi che hanno attraversato le
epoche e i luoghi più remoti a darci la vertigine di uno spaesamento
senza fine.
Ne Gli amori folli, in francese Les
herbes folles, che vale anche "erbacce" («Come quei semi che
germogliano tra le crepe dell'asfalto o tra le rocce, dove nessuno si
aspetterebbe di vederli spuntare», dice Resnais), niente e nessuno
è ciò che sembra. Anche perché non lo sembra abbastanza a lungo.
Chi è davvero la vaporosa signorina Muir (irresistibile Sabine Azéma),
dentista di professione e aviatrice per passione che in apertura perde
il portafogli innescando una girandola di conseguenze insieme banali e
imprevedibili? Una matta, una mitomane, una zitella in cerca
d'avventure, un'erede del personaggio interpretato da Gene Tierney in Il fantasma e la signora Muir,
capolavoro fra commedia e mélo girato da J.L.Mankiewicz nel 1948? E
cosa nasconde l'inquieto Monsieur Palet (ineffabile Dussollier) che
cercando la proprietaria di quel portafogli non solo fantastica torride
complicazioni sentimentali, ma rumina passati e fantomatici delitti? Non aspettatevi
spiegazioni: dove altri introdurrebbero una parvenza di logica, Resnais
scarta, divaga, accumula personaggi secondari e digressioni tra
affollati gabinetti dentistici, commissariati poco ortodossi, interni
di famiglia destabilizzanti. Un po' perché l'essenziale avviene dentro
le teste dei protagonisti (e nelle nostre, se stiamo al gioco). Un po'
per portarci verso uno dei finali più inattesi e sconvolgenti visti in
questi anni, purché si intenda il senso condensato in quell'improvviso
testacoda che passando a volo radente sulle scogliere della sua
Bretagna natale porta una ventata metafisica in quella che sembrava
solo una commedia da boulevard un po' svitata. È che questi sognatori
incorreggibili e disposti a tutto per un attimo di ebbrezza, fosse
anche quella da due soldi di una vecchia sigla hollywoodiana,
"desiderano il desiderio", come suggerisce lo stesso Resnais
commentando il libro da cui ha molto liberamente tratto il film
(Christian Gailly, L'incident). Di qui i capricci, dei
personaggi come dell'autore, che non ha bisogno di citare Flaubert per
ricordarci come vi sia qualcosa di sé in ognuno di loro. Non siamo così
lontani da Cuori, il
film precedente di Resnais. Lontanissimo invece è il cinema di oggi,
che ormai confonde il fantastico con il fantasy. Ma per un maestro nato
nel giugno 1922, questo è davvero il minimo.
Fabio Ferzetti - Il Messaggero
Per modernità di visione
Resnais batte lo spettatore-tipo odierno 1-0. Non solo ma anche perché
il suo bagaglio culturale di 88enne, comprendente il fumetto e
Stravinski, il surrealismo e Cocteau, Ionesco e Beckett senza
disdegnare i serial tv americani, è ricchissimo e coltivato con
immutata curiosità. [...] Si tratta di uno di quei film che non estremo
ardimento si fondano sul nulla. Sull'esilità estrema di una situazione
che non è un vero intreccio. Eppure vedrete, se andrete a vederlo come
caldamente si consiglia, che manifesto di libertà, di leggerezza
penetrante, di freschezza inventiva riesce ad essere [...]
Di che si parla? Del caso che cambia il corso delle cose; della forza
dell'attrazione, oscura ma indomabile soprattutto se non corrisposta;
di amore, di passione? O della resa all'irrazionalità inspiegabile,
insensata, disordinata dei comportamenti umani? Non aspettatevi
risposte (anche se un finale, più o meno interpretabile, c'è. Ha a che
vedere con lo stravagante hobby di lei, dentista nella vita e pilota
per diletto. Non "lieto" ma si fatica a definirlo tragico). Di certo si
rinnova il mistero di un "anticinema" che non potrebbe essere più
cinematografico perché solo sullo schermo è possibile immaginare e
fantasticare così a briglia sciolta. Altro che Iron Man 2 e il suo statico fracasso.
Paolo D'Agostini - La Repubblica
promo
Margherita non aveva
previsto che le avrebbero rubato la borsa all'uscita del negozio. E
ancora meno che i ladri avrebbero buttato il contenuto in un
parcheggio. E George? Se avesse anche solo potuto avere un sospetto,
George, non si sarebbe mai abbassato per raccoglierlo. Si è sospinti in
una dimensione seduttiva capace di rinnovarsi e di mutare in qualcosa
di diverso in ogni inquadratura, dove il set è come manipolato per
spinger(ci) all’interno di un luogo magico in cui l’illuminazione
teatrale di riesce a far diventare erotico anche solo uno sguardo tra i
due protagonisti seduti uno di fronte all’altra in un bar...