La polvere del tempo (Trilogia II: I skoni tou hronou)
Theo Angelopoulos
- Grecia/Italia/Ger/Fra/Russia 2008 - 2h 5'

  Il regista greco Theo Angelopoulos non dovrebbe avere bisogno di presentazioni. Con le sue opere degli anni 70, in particolare la trilogia sulla storia greca formata da I giorni del ‘36 assieme a La recita e I cacciatori, si collocò tra i nomi di punta dell’innovazione internazionale. Appartenente a una generazione (nato nel ‘35) cinematograficamente abbeveratasi all’estetica e alla poetica dei rottamatori parigini della Nouvelle Vague, Angelopoulos vi ha unito la sensibilità politico ideologica degli europei del sud, vincolando così l’audacia espressiva del suo cinema alle sofferte passioni delle vicende nazionali (esiliato dal regime dei colonnelli instaurato nel ’67, figlio della guerra civile che insanguinò la Grecia del dopoguerra e di un padre condannato a morte) e della grandiosa e torva epopea del comunismo. Importante nel suo percorso artistico è il legame che dagli anni '80 stabilisce con l’Italia: Tonino Guerra sceneggiatore, Mastroianni due volte interprete di suoi film. Volontè che morì proprio su un suo set.
La polvere del tempo (festival di Berlino 2009) è il secondo atto di una nuova trilogia avviata con il precedente La sorgente del fiume. Va data una sintesi di quella che sarebbe improprio definire trama o intreccio. Piuttosto un’idea dei personaggi che la abitano.
Un uomo ottiene documenti falsi per raggiungere un angolo remoto, dell’Unione Sovietica. È Spyros, greco emigrato negli Stati Uniti dopo la guerra. Va a cercare Eleni, la sua amata con la quale divide soltanto il ricordo di un ballo, che, coinvolta nella guerra civile ha seguito la diaspora comunista in Urss. La ritrova – ed è il giorno della morte di Stalin, marzo 1953 ma i due hanno appena il tempo di amarsi che vengono arrestati. Eleni spedita in Siberia dove nascerà A. (il film Io chiama solo A.) figlio di quell’unica notte d’amore furtivo, e dove ritroverà Jacob, ebreo tedesco conosciuto in Russia, innamorato di lei, che le resterà per sempre accanto anche se respinto. Tutto questo viene in realtà risvegliato dalla memoria e dalle ricerche ossessive di A. ormai cinquantenne regista che prepara un film sulla propria storia e ne viene inghiottito, perdendo la fiducia della moglie e della figlia (Eleni anche lei). I personaggi del passato non appartengono soltanto al passato, si sono salvati dalla macina della Storia e ritornano. Le loro vite nomadi si sono svolte tra mille viaggi e trasferimenti e il film li racconta punteggiando i loro percorsi con i grandi avvenimenti e passaggi d’epoca: la Shoah e Israele, la destalinizzazione, il Vietnam, la caduta del Muro, il nuovo miilennio. Ciò che resiste e continua a unirli è la solidarietà, l’amicizia, l’amore. Valori che li fanno sentire vivi e antidoto alla sinistra percezione di sé come sopravvissuti a un tempo di ferro e sangue sparso inutilmente.
Debole nella struttura e suggestivo nell’evocazione…

Paolo D'Agostini - La Repubblica

  Un ritornello musicale al piano, ossessivo, ripetitivo, melodico festoso, ma anche inquietante e horror, che diventa, nell'orchestrazione dell'autrice, Eleni Karaindroi, quasi un Tema di Lara , ci porta alla scaturigine formale, meno introversa del solito, del nuovo dramma di Theo Anghelopoulos, La polvere del tempo. Sempre insolente, il flusso di Anghelopoulos, per l'incedere laico e solenne, avanti e indietro nella Storia. Sempre abile nel fermo immagine catatonico, quando coglie, con respiro disumano, spettri di verità (e anche 'di Marx') strappati d'oblio perenne: siano i porti, le nebbie e i tram del real-socialismo sovietico che tradì i rivoluzionari; o gli incubi totalitari del neoliberismo terrorizzato dal terrorismo, che riduce gli individui a nude radiografie alienate, semoventi e consumanti; o il muro del pianto del rock, con i ritratti dei veri scopritori di 'pianeti inaccessibili' agli occhi degli astronomi e della Stasi (Jimi Hendrix, Che Guevara, Jim Morrison, Johnny Cash, Janis...), perché la rivoluzione contro il lavoro forzato di tutti i tipi è già data vinta, ai 'confini della realtà'.

Roberto Silvestri - Il Manifesto

  A quattro anni di distanza da La sorgente del fiume Theo Angelopoulos torna ad affrontare i temi fondanti della sua poetica: la persistenza della memoria, la dimensione immaginifica del subconscio, la ciclicità temporale, l'amore, la morte e l'immancabile riflessione sulla natura intrinseca dello strumento cinematografico come veicolo privilegiato della narrazione.
Saranno le immagini della Berlino cupa e nebbiosa in cui la pellicola è in gran parte ambientata, ma
La polvere del tempo ricorda molto da vicino il Wenders più poetico de Il cielo sopra Berlino anche a causa della presenza di Bruno Ganz, qui nei panni dell'eccentrico Jacob, uno dei due uomini amati dalla volitiva Eleni (Irène Jacob). Il gioco di specchi autobiografico che sottende il film si focalizza sulla figura del protagonista, interpretato da Willem Dafoe, regista intento a preparare una pellicola dedicata alla storia d'amore vissuta dai suoi genitori che però non vuol saperne di venire alla luce.
Alla crisi creativa corrisponde una dolorosa crisi esistenziale che sembra aver colpito tutti i personaggi condannandoli all'inazione e paralizzandoli in una perenne attesa della morte. La minaccia di una fine imminente domina la quotidianità contagiando perfino la giovanissima Eleni, figlia adolescente di Dafoe, fino a spingerla a tentare il suicidio. Alla morte fisica corrisponde la dissoluzione della memoria, l'impossibilità non solo di rivivere il passato, ma addirittura di rappresentarlo se non attraverso un cumulo di immagini caotiche impossibili da collocare in un unicum temporale visto che sono semplici proiezioni della psiche mai verificatesi nella realtà.
La polvere del tempo procede così all'insegna della discontinuità spazio-temporale che veicola in modo confuso atmosfere e sentimenti lasciando allo spettatore il compito di ricostruire il complicato sottotesto narrativo. Non mancano squarci lirici, momenti di grande cinema in cui potenti immagini metaforiche si cristallizzano universalizzando il proprio significante, ma queste epifanie rappresentano purtroppo solo flash isolati soffocati nel marasma di una pellicola che scorre con inevitabile pesantezza senza lasciar intravedere spiragli di levità.
Che sia realmente accaduto o no, il triangolo amoroso tra Eleni/Irène Jacob, Spiro/Michel Piccoli e Jacob/Bruno Ganz è decisamente la cosa migliore della pellicola, un amore che si dipana per più di cinquant'anni e che viene ricostruito in maniera caotica riservando attimi di eternità tra danze, prigionia, fughe precipitose, allontanamenti forzati e dolorose riconciliazioni. La poesia delle dinamiche sentimentali espresse dai tre straordinari attori compensa la piatta inanità del presente che si trascina faticosamente fino al drammatico epilogo. La polvere del tempo si conclude con una corsa disperata e liberatoria allo stesso tempo di Jacob insieme alla nipote Eleni. Alle loro spalle la porta di Brandeburgo, simbolo di una città capace di risorgere dalle proprie ceneri e immersa in un eterno presente. Sopra di loro il cielo di Berlino candido e gonfio di neve, mentre i fiocchi continuano a cadere e cadere e cadere...

Valentina D'Amico - Movieplayer.it


promo

È la storia di un triangolo amoroso tra due uomini e una donna che si dipana nell'arco di cinquanta anni. La voce narrante è quella di un regista americano di origine greca che, partendo da Cinecittà, si sposta negli anni per lavoro dal Kazakistan alla Siberia, da Colonia a Toronto e New York. Il suo racconto vuole rappresentare oltre al piano della realtà quello della finzione... Angelopoulos qui tenta di avvicinarsi ai personaggi e dare loro un carattere, ma il suo cinema resta un'opera criptica e mastodontica, certo di non facile accessibilità, ma testimone di cinema d'autore i cui stilemi si stanno ormai disperdendo nella produzione contemporanea.

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