Momenti di bellezza meravigliosa, ne La sorgente del fiume di Theo Angelopoulos: una distesa di lenzuola bianche messe ad asciugare palpitanti nel vento, il ricordo "giorni del '36, notti oscure", la musica di Amapola, un funerale sull'acqua con bandiere nere che procede solenne e lento su una zattera, le urla atroci della madre sul cadavere del figlio, il dolore civile ("Quello che temevamo è accaduto: la democrazia si è suicidata"), e la pioggia che non smette mai di cadere trasformando le strade in rivoli di fango. Nessun regista al mondo fa un cinema più struggente e perfetto, più realista e lirico; nessun autore persegue progetti di tale grandezza. La sorgente del fiume è il primo film di una trilogia che vuol narrare gli eventi più importanti che hanno segnato la Grecia nel Novecento, attraverso la vita di due coniugi costretti alla separazione: l'esilio, la lontananza, l'errare, il disfarsi delle ideologie, la morte, le prove della Storia. Angelopoulos certo non racconta la Storia in vignette e aneddoti cronologicamente ordinati, completati da date o scritte alla maniera televisiva. Come accade nella memoria di ciascuno di noi, gli bastano allusioni, note musicali, simboli, immagini evocative, attimi significativi (due bandiere greche biancazzurre. Uno che va di corsa per le vie della città gettando volantini e gridando "viva il Fronte Popolare", corpi straziati abbandonati inerti dopo la tortura, le barche che salvano i senzatetto dell'inondazione). Il film non fornisce dettagli, ma per capirlo meglio forse è utile ricordare che la prima parte del Novecento portò alla Grecia pronunciamenti e regimi militari come quello di Venizelos, battaglie territoriali per l'Anatolia e la Tracia, guerre civili combattute o scongiurate, colpi di Stato conservatori e dittatura filofascista di Metaxas, restaurazione, occupazione nazifascista, interventi militari francesi e inglesi, reggenza affidata a un arcivescovo: una instabilità perennemente sussultante che frantumava la vita delle persone. Angelopoulos è autore del soggetto, della sceneggiatura, della regia, è coproduttore insieme con Amedeo Pagani e Jean Labadie. Ha scelto e diretto magnificamente i due protagonisti: specie Alexandra Aidini, ma anche Nikos Poursanidis è davvero bravo come giovane musicista, suonatore di fisarmonica poi emigrato negli Stati Uniti in cerca di fortuna e morto a Okinawa in divisa dell'esercito americano. È ammirevole come sempre nell'opera di Angelopoulos il modo di collocare nello spazio figure indimenticabili: la ragazza sottile e leggera, i bambini di pessimo umore, ma anche i musicisti sempre in cappotto, cappello, ombrello, anche gli uomini che piangono, sopraffatti dalla desolazione. |
Lietta Tornabuoni - La Stampa |
All'arrivo dell'Armata Rossa, la comunità greca fugge nella terra d'origine e s'insedia sull'estuario del grande fiume che sfocia nel Mediterraneo. Cresciuti insieme, Alexis ed Eleni si amano: ma il padre del ragazzo, rimasto vedovo, vuole sposare la fanciulla. Costretti all'esilio, gli innamorati errano attraverso il Paese e arrivano a Salonicco. Nascono due bambini. Frattanto il fascismo prende il potere e l'uomo parte per l'America. La separazione, che doveva essere breve, dura all'infinito. Scoppia la seconda guerra mondiale; Alexis si arruola nell'esercito; Heleni è incarcerata; i loro figli militano su fronti opposti. Prima parte di una trilogia con cui Angelopoulos ha deciso di posare il suo sguardo da Ulisse sugli ultimi ottant'anni di Storia, La sorgente del fiume è un film tutto costruito sull'acqua, dove l'elemento liquido allude continuamente al pianto dei personaggi. Fino dalla prima scena, fotografata da Andreas Sinanos in immagini composte come dipinti (mai statiche, però; dotate invece di un intrinseco ritmo filmico), il regista conferma il suo sublime manierismo: adotta i ritmi lenti di lunghi piani-sequenza dove la reticenza sposa la tragedia. Lo si può prendere, lo si può lasciare; però alcuni episodi (quello dove Heleni e le altre donne vanno alla ricerca dei corpi dei loro cari caduti in battaglia, l'esodo dal villaggio alluvionato) sono indimenticabili. E se neghiamo la definizione di "grande cinema" a un'opera come questa, a che cosa siamo soliti attribuirla? |
Paolo D'agostini - La Repubblica |
i giovedì del cinema invisibile TORRESINO aprile-giugno 2004