The Housemaid
Im
Sang-soo -
Corea
2010
- 1h 47' |
Non
lo sopportano. Peggio: lo deridono, lo dileggia no, lo snobbano. Non fanno
in tempo a fiutare la sua presenza - i chierici del gusto e del potere -
che mettono in atto i loro riti esoterici e scaramantici. Sono
incompatibili, il mélo e il potere. Perché il mélo racconta - sempre -
come il corpo possa far perdere la testa. Mentre loro - gli uomini di
potere - usano la testa per attuare il dominio sui corpi. Per questo il
mélo è da sempre il più politico - ma anche il più eretico - fra i generi
cinematografici: perché svela e attacca il dominio non dove è
ideologicamente controllabile (nelle istituzioni, o nella società), ma là
dove diventa esplosivo e intollerabile (nei corpi e nei loro flussi di
desidero). Anche
The Housemaid
di Im Sang-soo non sfugge alla regola: remake dell’omonimo classico del
cinema coreano, realizzato nel 1960 da Kim Ki-young, lo rielabora in
chiave fortemente personale, trasformando l’eroina protagonista da
femme fatale qual era nel film di cinquant’anni fa in vittima
designata di un perverso gioco di dominio che vede accanirsi contro di lei
un’intera famiglia borghese della Corea dei giorni nostri.
Il
racconto si sviluppa lungo una sorta di sinusoide termico-emozionale che
continuamente alterna scene "infuocate" ad altre - per così dire -
"raggelate". L’acqua e il fuoco, non a caso, sono i due elementi dominanti
del film, segnano il suo incipit e il suo epilogo, infiammano la storia e
poi la raffreddano, in un elegantissimo gioco di contrasti e di
opposizioni. Nella splendida villa circondata dalla neve in cui la giovane
Euny è assunta come governante regnano la bellezza e la discrezione.
Piatti che mangeresti con gli occhi, vini pregiati, arredi perfetti: la
messinscena del decoro borghese come l’avrebbe realizzata - in occidente -
un Luchino Visconti. Ma anche, insieme, la radiografia di una famiglia
apparentemente felice: padre pianista, madre incinta di due gemelli,
figlia bambina. La sera si sdraiano insieme sul divano e ascoltano la
Callas, mentre degustano vini rari in preziosi calici di cristallo. Ma
tanta raffinatezza non deve trarre in inganno: «Essere educati e
gentili con tutti può sembrare un segno di rispetto, ma in realtà è un
modo per sentirsi superiori». Lo svela, nel suo candore, la bambina di
casa, parlando con la governante. E la sua rivelazione si riverbera un
poco su tutto il film, che a sua volta svela - appunto - le maschere e le
forme della "superiorità" di classe. Le stesse che rivelava, in occidente,
un regista acido e graffiante come
Claude Chabrol. O, prima di lui, grandi
cineasti “sovversivi” e non riconciliati come Douglas Sirk o Rainer Werner
Fassbinder. In
The Housemaid
si respira la stessa aria: in certi passaggi sembra di essere in una
versione coreana di
Come le foglie o
di
La magnifica ossessione.
Qui l’ossessione è quella del maschio-padre-padrone che prima pretende di
godere delle grazie della bella governante, poi pensa
che basti un assegno per tacitare la “serva” e ricondurla in silenzio al
suo ruolo di sempre. Il potere agisce allo stesso modo, nei film come
nella realtà. In Corea come dalle nostre parti. Il mélo lo mostra. Non si
stanca di mostrarlo. Esiste se e solo se lo mostra. Non ha altro da dire,
il mélo. E lo dice. Mette in scena la dialettica servo/padrone a livello
inguinale. E lo fa con una radicalità che il cinema “impegnato” sembra
aver smarrito. Non ci sono manicheismi, in
The Housemaid:
le donne non sono meglio degli uomini. La moglie, la suocera e la
governante anziana si accaniscono contro la giovane che si è concessa al
padrone perché temono - soprattutto quando scoprono che è incinta di lui -
che possa prendere il loro posto. E tutto, allora, salta per aria. O cade
nel vuoto. Perché la caduta è la figura-chiave: il salto, la vertigine,
l’abisso. Già giù, dove il sangue si mischia con l’acqua e riempie lo
schermo dello stesso colore del vino. Giù nel profondo dei corpi, dove la
speranza si strozza nel sussulto o si scioglie nella lacrima. Lascia
addosso uno strano disagio, questo film di Im Sang-soo: come se
Hitchcock
avesse chiesto aiuto a
Orson Welles per gettare uno sguardo sghembo dentro
la parte più oscura di noi. |
Gianni Canova - Il Fatto Quotidiano |
Un
film più che perfetto per raccontare un mondo ossessionato dalla
perfezione. Una storia di violenza, manipolazione, ricatto, in cui tutto è
(deve essere) bellissimo, perché la bellezza nasconde la prevaricazione,
anzi ne è il compimento naturale, il segno del dominio esercitato sul
mondo. E su se stessi. Remake di un classico del cinema coreano,
The
Housemaid
di Im Sang-soo è un sontuoso 'Scene dalla lotta di classe in Corea del
Sud' che ribalta lo script originario capovolgendo ruoli e morale [...]
Scandito da inquadrature laccate e impeccabili, in un crescendo di
crudeltà fisica e mentale quasi insostenibile, La governante mette
a disagio per la perfezione formale un poco anacronistica e la crudeltà
totale, astratta (o astorica), dei personaggi. La vitalità del film
originale lo rendeva senza tempo. Questo, benché contemporaneo, suona
paradossalmente remoto, quasi datato. Ma sprigiona una forza, un orrore,
una condanna morale che restano dentro a lungo, anche dopo la visione. |
Fabio Ferzetti - Il Messaggero |
È
di uno splendore formale esagerato: laccato, elegante, con una cura dei
colori e delle scenografie che fa pensare ad un piccolo Visconti
orientale. Ma Im Sang-Soo è qualcosa di più: è un cineasta che viene da
lontano, e anche il suo film viene da lontano [...]
The
Housemaid
è la storia di una guerra familiare in cui l'unico uomo di casa è il
trofeo a cui tutte danno la caccia, e le varie donne si combattono come
tigri ciascuna in difesa del proprio territorio. Im Sang-Soo è sempre
stato un 'regista di donne' - una sorta di George Cukor coreano - con una
carica provocatoria che qui rimane sotto la brace. Il film è bellissimo,
insolito ma curiosamente assai comprensibile per un pubblico occidentale.
Può essere un buon modo per cominciare ad esplorare il continente-Corea... |
Alberto Crespi - L'Unità |
promo |
La giovane Euny
è assunta come cameriera in una casa di ricchi, che attendono due
gemelli. Diventa l’amante del padrone. Quando si scopre che anche
lei è incinta, la suocera dell’uomo tenta in ogni modo di
distruggerla... Laccato, elegante, con una cura dei colori e delle
scenografie che fa pensare ad un piccolo Visconti orientale ecco
un film più che perfetto per raccontare un mondo ossessionato
dalla perfezione. Una storia di violenza, manipolazione, ricatto,
in cui tutto è (deve essere) bellissimo, perché la bellezza
nasconde la prevaricazione, anzi ne è il compimento naturale, il
segno del dominio esercitato sul mondo. |
cinélite
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