Il mio grosso grasso matrimonio greco
(My Big Fat Greek Wedding)
Joel Zwick
- USA 2002 - 1h 34' |
Cinema multietnico, croce o delizia? Voce propositiva di attenzione culturale o pretesto d’attualità per una furba operazione commerciale? Certamente “affare” di spettacolo e, se ben costruito, veicolo propositivo di tolleranza, melting pot e… budget miliardari! |
Ecco allora, a sbancare i
botteghini di Natale,
Il mio grosso
grasso matrimonio greco,
supportato dell’enorme successo americano che l’ha consacrato “sleeper”
dell’anno: il termine sta ad indicare un film non troppo accreditato all’uscita
che riesce invece a raggiungere incassi da record. E il successo di
My Big
Fat Greek Wedding (oltre 2000 milioni di dollari) è ormai confrontabile in
USA con pellicole quali
Pretty Woman
e
Se
scappi ti sposo. Ciò che fa ancor più
notizia è che si tratta di una produzione indipendente (solo 5 milioni di
dollari), che alla regia c’è anonimo director televisivo (Joel Zwick) e che
l’unica voce di rango è la produttrice Rita Wilson, moglie di Tom Hanks. La
chiave di volta sta proprio nel fatto che la Wilson, che è di origine greca, ha
saputo dar fiducia all’interprete-sceneggiatrice Nia Vardalos. Quarant’anni,
canadese la Vardalos ha dato una svolta alla propria carriera teatrale portando
sul palcoscenico un monologo semi-autobiografico che sviscera tutte le
strampalate contraddizioni dell’integrazione della comunità ellenica nelle
dinamiche del sogno americano. Il salto sul grande schermo è stato un azzardo
ben ripagato, ma se le tasche di Nia tintinnano (una percentuale sugli incassi,
anche bassa, fa presto a questi livelli a raggiungere decine di milioni di
dollari) quali le vibrazioni positive nell’universo della commedia sentimentale?
Nessuna o quasi! L’effetto più deprimente nella visione di
Il mio grosso
grasso matrimonio greco è la coreografia del pubblico in sala: a gag
scontate, luoghi comuni a non finire, battute da sorriso lieve fanno eco fin
dall’inizio risate di “grossa, grassa” soddisfazione. Ma allora può bastare un
lancio oculato, una serie di spot promozionali che esaltano le situazioni di
indubbia ilarità a precostituire il gradimento? La scintilla vitale sta,
probabilmente, nel meccanismo identificativo a largo spettro che estrapola le
situazioni di farsesco realismo che caratterizzano le varie comunità etniche.
Quella italiana si è da tempo “bruciata” nei loschi intrighi di mafia, ma molte
sono affinità con la storia di Toula Portokalos, ormai quasi zitella, soffocata
dalle antiquate regole familiari. L’autoritarismo paterno può essere smantellato
dall’arguzia femminile, ma anche la visione di mamma non lascia scampo (“sposare
un greco, fare bambini greci e nutrire tutti fino alla fine dei propri giorni”)
e lavorare al ristorante di famiglia Dancing Zorba non offre molti
sbocchi sociali.
Ma tant’è: tra i lazzi di un fratello illustratore frustrato e
le amene intraprendenze di zia Voula, Toula riesce a ritagliarsi uno spazio
autonomo in un’agenzia di viaggi ed è proprio lì che conosce Jan, un insegnate
di lettre di pura estrazione wasp. L’incontro non può non sconvolgere non solo
il cuore di lei, ma anche le incrollabili tradizioni familiari… |
Non è che l’entusiasmo vada
alle stelle neppure con
Sognando Beckham
(da
Mississippi Masala
a
East is East
l’analisi etnico-sociale ha sceso sempre più la china del facile conformismo),
ma un minimo di tensione drammaturgica, di sensibilità introspettiva gioca a
favore del film di Gudiner Chadha. |
ezio leoni - La Difesa Del Popolo - 29 dicembre 2002 |
LUX - dicembre 2002 / gennaio 2003
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Jess è una ragazza indiana che vive a Londra con i genitori. Questi vorrebbero che la figlia si sistemasse con un bravo ragazzo indiano, si laureasse in legge e imparasse a preparare un ottimo chappati. Ma l'unica cosa che Jess desidera è giocare a calcio bene come il suo idolo David Beckham. Quando Jules, una sua amica, le propone di entrare in una squadra di calcio femminile Jess accetta anche se è ben conscia che i suoi genitori non sarebbero d’accordo... |