da Il Giorno (Silvio Danese) |
Non fatevi impressionare dalla lunghezza, quasi quattro ore di colori, melodrammi, cori e bandiere indiane per raccontare, a fine 800, il riscatto di una comunità contadina che non accetta la nuova tassa (lagaan) del governatorato inglese. Quando ti lasci prendere dal passo circolare e dalle digressioni musicali il tempo corre (e se vi viene in mente che il protagonista Bhuvan assomiglia a Fiorello, ebbene in India è proprio una star televisiva come il nostro mattatore). Gli inglesi sono damerini arroganti, scontornati dai romanzi di Forster e Jahbvala. Gli indiani generosi, buoni e sognatori… Con questo film sentirete pronunciare una parola nota ai cinefili: Bollywood. E' la sintesi delle parole Bombay, dove si fa il cinema indiano e Hollywood. |
da Film Tv (Aldo Fittante) |
Sul planet Bollywood sventola, cinematograficamente parlando, bandiera
yankee. L'antica tradizione del polpettone indiano (anni '50) si trasforma
così in un frullatone postmoderno, dove il folklore è filtrato, tra
sottili ironie e aggraziate danze, da una contaminazione fatale che ha il
coraggio di mischiare
Rocky e
Jesus Christ Superstar,
Berkeley e
I sette samurai,
Fuga per la vittoria
e
Quella sporca ultima meta,
ammiccamenti leoniani e persino qualche celentanata, chissà se volontaria
o meno. Duecentoventi minuti di delirio cromatico, provocatoriamente
srotolati contro la fretta del cinema americano e dei ritmi occidentali:
il regista Gowariker e Aamir Khan (stella del cinefirmamento indiano,
protagonista e produttore della fluviale pellicola) si prendono tutto il
tempo raccontando e spiegando, innamorandosi e odiando, buttandosi in
"quello stupido gioco" che si chiama cricket in barba agli inglesi e agli
stessi compatrioti (che ne hanno ereditato il vizio)... Che gli abitanti
di Bombay o Nuova Delhi siano impazziti per questo film, non sorprende. Ma
che uno spettatore occidentale, avvezzo all'ora e mezza e solitamente
restio a farsi coinvolgere da uno sport francamente soporifero, riesca a
entusiasmarsi (dopo centoventi minuti già colmi e frastornanti) a una
seconda parte che propone una gara che non ha certo l'appeal di una finale
calcistica, dà la misura della maestria (e dell'astuzia) di un'operazione
che ha il fiato del kolossal e l'afflato dell'apologo "immorale". quasi
quattro ore di colorate emozioni per dire, in sostanza, che è il Sogno che
conta. |
cinema invisibile-E20 TORRESINO ottobre-dicembre 2002