da
L'Unità
(Michele Anselmi)
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Magari si poteva trovare un titolo italiano di più agile pronuncia per East is East: il film di Damien O'Donnell, è divertente, istruttivo, interessante per come indaga, operando un piccolo salto temporale all'indietro nelle pieghe di un'integrazione razziale e culturale difficile. In questo caso - non è una novità per il cinema britannico sin dai tempi di My Beautiful Laundrette - sono di scena i pakistani della seconda generazione: figli ventenni in bilico tra tradizione e modernità, tra rispetto dei padri e rivendicazione di autonomia. Già portato con successo a teatro in Inghilterra, il testo di Ayub Khan Din è una commedia familiare che affronta lo spinoso argomento con tocco leggero, ma senza addolcire le questioni in ballo. I problemi nascono quando George Khan, orgoglioso pakistano sposato con una donna inglese e padre di sette figli, decide che per Tariq e Sajid è arrivato il momento di sposare due ragazze «paki», brutte come la fame però figlie di un ricco commerciante. Siamo a Salfold, un popolare sobborgo di Londra, nei primi anni Settanta. Nei club furoreggia Strange Kind of Woman dei Deep Purple, i ragazzi portano i capelli lunghi e i pantaloni viola a zampa d'elefante, la cultura hippy spacca le famiglie. Ma per il musulmano e tradizionalista George Khan, detto «Ghengis», sono tutte fesserie: dal suo negozietto di fish & chips pretende di pilotare la vita dei figli alla maniera pakistana, e per chi non ci sta sono botte. In una chiave di commedia corale, tra riferimenti alle parole d'ordine razzista del fascista Enoch Powell, scene di vita pakistana e parodie della swingin' London (uno dei figli, il gay Nazir, lasciò la futura moglie per fare il modista ad Eccles), East is East prepara la patetica resa dei conti che vedrà il patriarca perdere lo scettro. Se la riconciliazione finale suona un po' prevedibile, l'intreccio delle situazioni è ben orchestrato, i personaggi sono gustosi (ogni figlio riflette una tipologia precisa), il risvolto amarognolo disciplinato al sorriso. Merito di una compagnia d'attori che non spreca uno sguardo o una battuta, indossando con naturalezza abiti e acconciature che sembrano già antidiluviane. «Divo» del film è l'attore indiano Om Puri, ormai specializzato in ruoli del genere (era il tassista innamorato della prostituta di Mio figlio il fanatico), mentre Linda Bassett fa della moglie Ella, rispettosa e combattiva insieme, la vera eroina della vicenda. |
da
La Repubblica
(Irene Bignardi)
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Del
rapporto tra l'Est indo-pakistano, islamico, induista dell'antico Raj britannico
e l'Ovest della moderna Gran Bretagna, si è molto raccontato nel recente cinema
inglese, tanto che sarebbe facilissimo fare un minifestival sul tema, partendo
dall'ormai classico My Beautiful Laundrette,
per continuare con Il giardino indiano,
London Kills me,
Mio figlio il fanatico,
che in varie versioni - poetica, femminile, punk, ideologica - disegnano la
mappa del complicato intreccio tra gli antichi dominati e i non più dominatori.
E Om Puri, con il suo faccione butterato che sa essere insieme così bonario e
così feroce, incarna benissimo le due anime di questo problema.
E
Om Puri, con il suo faccione butterato che sa essere insieme così bonario e
così feroce, incarna benissimo le due anime di questo problema. Da una parte,
in Mio figlio il fanatico, era il papà ottimamente integrato nell'Inghilterra
di oggi che si trova a far fronte con un figlio integralista. In
East
is East è un vecchio
musulmano che, se pur ha sposato una britannica dai rossi capelli e ne ha avuto
sette figli, vorrebbe tuttavia che i medesimi si adeguassero allo stile e alle
regole della lontana patria pakistana. Il film, diretto con spirito di servizio
da Damien O' Donnell, è tratto da una commedia fortemente autobiografica
del pakistano Ayub Khan-Din messa in scena per la prima volta al Royal Court
Theatre nel 1997. E Khan- Din, a cui si deve la sceneggiatura, fa il possibile,
fin dalla prima, esilarante scena di una processione, per aprire lo spazio e la
situazione teatrale, che resta però fortemente riconoscibile. Il palcoscenico
principale è una casa a schiera in un quartiere popolare di Salford, nel
Lancashire degli anni '70, quando l'integrazione era agli esordi, imperversava
il fascista Enoch Powell e l'autore aveva più o meno l'età che ha il più
piccolo dei figli della famiglia Khan […] Si ride, spesso e volentieri, in un
film che è simpatico, rumoroso e, in fondo, gentile. Ma, a pensarci bene, si
dovrebbe piangere: sono questi pregiudizi, l'incapacità di accettare la
diversità e l'integrazione, le volontà coartate, i rituali imposti con la
durezza, i dogmatismi, le violenze, domestiche e non, esercitate in nome della
religione, della tradizione e della famiglia a porre le basi degli orrori di cui
siamo stati testimoni in questi anni. Quella di Salford e di Khan, vista da
oggi, sembra l'età dell'innocenza. |
da
Film Tv
(Aldo Fittante) |
"Ti
ho dato sette figli e non starò a guardare che li distruggi solo perché sei un
lurido porco":
lo sfogo della moglie del fiero pakistano George Khan - detto "Gengis"
- è di quelli da presa di coscienza femminista. Siamo a Salford, nel nord
dell’Inghilterra. E siamo, ancora, nel 1971. Nella comunità musulmana del
posto, Gengis è famoso per il suo integralismo e per la sua "mano di
ferro". Ma i flussi contestatari stanno per arrivare anche lì e dentro le
mura di una famiglia composta per lo più da giovani che non hanno intenzione di
seguire le tradizioni di un padre despota e maschilista. La prima sorpresa
dell'opera prima dell'inglese Damien 0'Donnell (presentata alla "Quinzaine"
di Cannes '99) è che fa ridere: le disavventure dei Khan sono narrate come
avrebbe fatto Frears all'inizio degli anni '80 o come le avrebbe narrate
Kureishi in uno dei suoi celebri best-seller di nicchia. La seconda sorpresa -
che sorpresa non è, per chi ha avuto la fortuna di seguirlo nei festival - è
l'attore Om Puri, che giganteggia come un Volontè grottesco, come un Gassman
"sorpassato", come un re davanti ai suoi sudditi. C'è del già visto,
ma il divertimento (intelligente) è assicurato. |
TORRESINO - gennaio 2000