Il
sogno americano trasmigra nel Nord Europa. Nella realtà
"povera" di un'America rurale ricostruita nei
paesaggi svedesi, Lars von Trier
riprende la sua
reinvenzione "dogmatica" del melodramma e
sfodera un altro capolavoro che by-passa la parentesi
provocatoria di
Idioti e si congiunge
idealmente con la passionalità evocativa di
Le onde del destino. Lì il dramma
esasperato in salsa kitsch era lo sbocco di un'ossessione
d'amore assoluto (sessualità e sacrificio muliebre in
ipetrofia puritana), qui l'affetto e l'abnegazione
materna trovano sublimazione e consolazione in squarci
fantastici realizzati in perfetto stile musical anni '50.
Tutto si compie, nel disegno creativo di von Trier, già nel titolo
e nell'overture che lo precede (un'enfatica composizione musicale
su tre minuti di schermo assolutamente nero): Dancer in the
Dark richiama per assonanza
linguistica la sequenza di Spettacolo di
varietà affidata ai soavi passi di danza
di Fred Astaire e Cyd Charisse (Dancing in the Dark), ma il
"ballare nel buio" della protagonista è anche amara contingenza
legata alla sua progressiva cecità e, metaforicamente, all'oscurantismo
di una società che non sa vedere oltre le apparenze del perbenismo
economico e che, ieri come oggi, cerca soluzione al proprio disagio
civile nella brutalità della pena capitale.
La suggestione del film nasce dalla
riuscita mediazione immaginifica in cui sfociano le
implicazioni del titolo, dal crescere coerente (e al
limite del plausibile) di una storia straziante, dall'esasperazione
(ormai stilema sedimentato) dei movimenti della macchina
a mano e di una fotografia armoniosamente desaturata.
Sembra stagnare senza sbocco la prima parte di Dancer in the Dark, così come la grigia esistenza
di Selma (la rock-star Bjork, alla sua prima, straordinaria esperienza
d'attrice), emigrata cecoslovacca, confinata "nell'America dei
sogni" tra fabbrica e roulotte (dove abita col figlio adolescente),
ravvivata solo dall'amicizia di Kathy (una sempre splendente Catherine
Deneuve) e dall'incontro con i compagni di teatro per le prove di
The Sound of Music (versione teatrale di Tutti insieme appassionatamente). Ma è tutto lo
spirito di Selma che "danza" a ritmo di musical: le sue
visioni interiori trasformano le ossessive cadenze lavorative in coreografici
numeri alla
Bob
Fosse, un'imprevista
occasione romantica trova una via di fuga (su un treno!) in una parentesi
coreografica che rimanda al dinamismo di Sette
spose per sette fratelli
e alla spensieratezza di Tutti insieme
appassionatamente.
E se la sequenza in tribunale cita apertamente Gli
uomini preferiscono le bionde, la disperata ricerca in cella
di suoni o rumori su cui lasciar scivolare, ancora una volta, il proprio
desiderio di libertà ed emozioni è, da parte di von Trier, un pezzo
di bravura di assoluta originalità.
Sì perché Selma (che ha passato tutta la vita a mettere
da parte i soldi necessari per salvare il figlio dalla
fatale cecità che, come sta accadendo a lei, lo
colpirebbe in età adulta) si ritrova, quasi senza
rendersene conto, a macchiarsi di un raccapricciante
omicidio. Ma anche la crudeltà del destino nulla potrà
contro la forza d'animo di questa madre-coraggio del
cinema del nuovo millennio. Issata a forza sulla forca
Selma stringe vittoriosa tra le mani gli occhiali,
finalmente inutili, del piccolo Gene. Per la platea degli
astanti all'esecuzione e per l'altrettanto scombussolato
spettatore cinematografico il sipario può essere alfine
chiuso.
ezio leoni
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La Difesa Del
Popolo
5
novembre 2000 |