Dallas Buyers Club
Jean-Marc  Vallée - USA 2013 - 1h 57’

miglior attore protagonista (MATTHEW MCcONAUGHEY)
miglior attore non protagonista (JARED LETO)
miglior trucco-acconciatura


  Prendete un divo famoso, rendetelo irriconoscibile, affidategli una storia vera e molto drammatica, magari del genere 'Davide sfida Golia'. Poi state a guardare. (...) Dallas Buyers Club rievoca con energia travolgente (e qualche calcolo di troppo) una parabola che aspettava di arrivare sugli schermi da 15 anni. Per andare in porto infatti c'è voluto Matthew McConaughey, che dopo essersi innamorato della sceneggiatura (di Craig Borten e Melisa Wallack) ha perso 20 chili per trasformarsi nel 'macho' Ron Woodroof. Un elettricista texano tutto coca, ammucchiate e rodei che nel 1985, mentre il mondo piangeva Rock Hudson, prima star della storia a morire di Aids, scoprì per caso di essere sieropositivo. Anzi di avere «circa 30 giorni di vita», come dissero i dottori, visto che all'epoca non esistevano praticamente cure per quella nuova sindrome che presto sarebbe diventata un'epidemia. (...) Corpo macilento, occhiaie profonde, energia febbrile, il sex symbol McConaughey è l'attrazione n. 1 di un film che moltiplica prodezze e sottotrame per piacere. Dall'amore per la bella e coraggiosa dottoressa Jennifer Garner (solo un sogno, per fortuna), alla crescente complicità che lega il macho Ron al soave Rayon, dopo l'iniziale e violenta ripulsa omofobica. (...) Script e regia di ferro. Gli unici autorizzati a sperimentare sono gli attori. Ma bisogna dire che con attori di questo livello, il risultato è garantito.

Fabio Ferzetti - Il Messaggero

   Sussurrano (e gridano), corrono e rallentano, emozionano e fan pensare, le immagini di Dallas Buyers Club, film che ci accompagna nella ferma lotta per l'esistenza di Ron Woodroof, elettricista texano macho, drogato, alcolista e omofobo, nonché appassionato di rodeo, come l'Ultimo buscadero di Peckinpah. (...) Storia vera, rabbiosa, comatosa, raccontata per filo e per segno dal Dallas Morning News nel 1992 poco prima della morte di Ron, da tempo sulla scrivania dei producer di Hollywood inseguendo il filone Philadelphia ma cambiando i connotati psicosomatici del protagonista. (...) Se prima Ron era uno che insultava i gay diventa ora amico di una gentile trans che gli massaggia i polpacci e con cui gioca a carte in clinica. Il dramma ha momenti di accelerazione ma anche di freno, spiega, senza addentrarsi, i retroscena del business multinazionale delle case farmaceutiche, glissando sulla privacy e i parenti del protagonista. Scomposti in capitoli, le opere e i giorni che a Ron restano da vivere sono raccontati per impressioni, astio e associazioni libere, con due caratteri di fiction ma tipici, da serie: la dottoressa (Jennifer Garner) che vorrebbe cambiare le cose terapeutiche ma non può, e il trans (Jared Leto), figurina di vittima designata dal trucco vistoso ma dal cuore semplice.

Maurizio Porro - Corriere della Sera

   «La vita è originale», scriveva Svevo; «La vita è strana», si canta in Dallas Buyers Club, riferendosi alla parabola esistenziale di Ron Woodroof, personaggio vero di elettricista texano, macho e omofobo, che l'Aids, contratto nel 1985 causa un rapporto non protetto, trasforma in un essere sensibile e umano. Con un verdetto di morte a trenta giorni che solo la determinazione del protagonista prolunga di sette anni, la storia poteva scadere facilmente in melò, ma la pellicola, in lizza per vari Oscar fra cui film e sceneggiatura originale (Melisa Wallack e Craig Borten), è troppo ben calibrata. Sullo sfondo poco edificante di un'America che sembra preoccuparsi solo di proteggere gli interessi delle case farmaceutiche, risalta in primo piano il ritratto vitalistico di un individuo non disposto a scivolare fuori scena passivamente, e deciso a giocarsi tutte le carte a disposizione: contrastando l'uso di un medicinale tossico in via di approvazione; e smerciando nel club per malati di HIV da lui fondato trattamenti alternativi illegali. Woodroof non è un santo, è un uomo che lotta per sé, ma la disperazione, mettendolo in contatto con paure e fragilità recondite, pian piano lo induce a smantellare difese e pregiudizi, a caricarsi della sofferenza altrui. Fondamentale in questo il rapporto prima repulsivo, poi d'affari e quindi di affetto con il travestito e drogato Rayon. Pulita ed essenziale, la regia del canadese Jean-Marc Valléefilm successivo in archivio non indulge mai al patetico, rivelando occhio felice per l'ambientazione e affidandosi agli attori (entrambi candidati) per far emergere le emozioni: semplicemente straordinario Matthew McConaughey, non perché per incarnare Woodroof è dimagrito di venti chili, ma per la profondità e ricchezza di sfumature dell'interpretazione: non gli è da meno Jared Leto, toccante, vibratile, intenso Rayon.

Alessandra Levantesi Kezich - La Stampa

   Dietro alla macchina da presa il sensibile canadese Jean-Marc Vallée, ma soprattutto davanti un prodigioso Matthew McConaughey, dimagrito di 23 kg per entrare nei panni del rodeo-man/elettricista sciupa-femmine, cocainomane, omofobo e malato di AIDS Woodrof. Febbrile e febbricitante, egli incarnò una lotta personale ma esemplare contro l'FDA che affrontava l'allora ignoto virus HIV col solo e nocivo Azt impedendo la sperimentazione di altri farmaci. Fattosi imprenditore di se stesso insieme all'efebico trans Rayon - anch'egli tossico e sieropositivo - Woodrof fondò il Dallas Buyers Club presso cui altri malati potevano comprare i medicinali che illegalmente si procurava in giro per il mondo. E' chiaro che attraverso il dramma dell'AIDS, quella dell'eccentrico cowboy fu una battaglia contro il perbenismo, i moralismi radical-wasp, l'ipocrisia, la menzogna e pro l'accettazione indiscriminata del diverso/infetto e la giusta informazione al riguardo. Una sceneggiatura con tematiche 'scaccia-pubblico' da cui produttori atterriti sono fuggiti per ben 137 volte in 20 anni, ma talmente potente da aver 'azzannato' il 44enne McConaughey che vi ha aderito intradermicamente fino a combattere in proprio per il film: 'Se vuoi veramente una cosa, devi fartela da solo, come Ron'. Ed ecco che uno degli 'hottest men' di Hollywood si reinventa, non un uomo o attore nuovo, ma trasforma se stesso in una 'nuova idea'. Si ferma per un anno rifiutando copioni insulsi e punta ad autori come Friedkin, Soderbergh, Jeff Nichols a cui fanno seguito Scorsese (impeccabile la sua sequenza-duetto con DiCaprio in The Wolf of Wall Street) e Nolan, che l'ha voluto protagonista dell'atteso Interstellar. In Dallas Buyers Club ha creduto istantaneamente, e molto prima che fosse scelto Vallée al timone. Questi - classe '63, già regista degli ottimi indie C.R.A.Z.Y. e Café de Flore - ha centrato l'interpretazione anti-moralistica del testo, laddove i protagonisti sono l'antitesi della santità. Solido e impermeabile a tentazioni estetizzanti, ha condotto la ferrea sceneggiatura candidata all'Oscar di Craig Borten e Melisa Wallack dentro a un vortice teso e forsennato, preparando il girato a un montaggio pressoché perfetto, e non a caso anch'esso nominato dall'Academy. Il punto di vista non è mai smarrito in uno sviluppo narrativo e drammaturgico classico ma non pedante, allergico alla temibile saccenza con cui certi temi 'Bigger than Life' tendono a essere 'cinematografati'. Di 'Bigger than Life' ci sono 'solo' i due personaggi principali e corrispettivi interpreti, entrambi premiati col Golden Globe e in corsa per l'Oscar: se McConaughey novello 'demone sotto la pelle' di cronenberghiana memoria esplode di una bravura viscerale capace di restituire ogni tratto evolutivo dell'antieroe Woodroof, al sorprendente Jared Leto è affidata la levità di Rayon, creatura reietta da chiunque, apice della discriminazione sociale, personaggio tragico di rara purezza. Un film vibrante e vitale, da vedere tenendo lontani i pregiudizi.

Anna Maria Pasetti - Il Fatto Quotidiano


promo

Nel 1986 a Ron Woodroof (Matthew McConaughey), un elettricista del Texas, viene diagnosticato l'Aids e i medici gli prospettano pochi giorni di vita. Frustrato dalla mancanza di terapie mediche ufficiali e non disposto ad accettare una condanna a morte, Woodroof trova un'ancora di salvezza nell'uso di farmaci illegali e alternativi e crea un giro di contrabbando per renderli disponibili ad altri malati di Aids. La cosa migliore del film è lo sviluppo, il percorso, la trasformazione del personaggio. Che nasce sulla base di un modello reale. E reale è il fatto che ci troviamo a metà degli anni Ottanta, in piena emergenza Hiv-Aids. Il mélo ha la sua bella parte, la funzione 'di denuncia' è efficace, con una regia, pulita ed essenziale, che non indulge mai al patetico, rivelando occhio felice per l'ambientazione e affidandosi agli attori (entrambi premiati con l'oscar) per far emergere le emozioni.

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