Philadelphia
Jonathan Demme - USA 1993 - 1h 59'

  

    Quattro sono gli ingredienti che hanno decretato il successo di Philadelphia: il tema "sociale" dell'AIDS, l'accorata interpretazione di Tom Hanks, il toccante commento musicale, l'indiscussa abilità registica di Jonathan Demme (Il silenzio degli innocenti).
C'erano già stati altri film che avevano indagato sul trauma civile dell'AIDS (se possedete un VHS visionatevi
Che mi dici di Willy? di René Norman), ma con Philadelphia è proprio la grande industria di Hollywood che affronta l'argomento, senza ambiguità eppure senza crudezze, con un gran senso umanitario ed una morale di solidarietà encomiabile anche se, diciamolo, spesso debordante nel patetico. Ma il racconto, scritto da Ron Nyswaner, è in ogni caso incisivo: fin dalle prime immagini, con la macchina da presa che s'insinua con taglio da reportage nelle strade di Philadelphia, con la gente che saluta come in un filmato amatoriale (mentre la colonna sonora sfodera il brano vincente, Streets of Philadelphia, di Bruce Springsteen), Demme vuole comunicarci la sua vicinanza alla realtà sociale che descrive, alle problematiche che toccano i singoli, ma che coinvolgono nella loro drammatica casualità un'intera generazione.
Il caso di Andrew Beckett (Tom Hanks, finalmente al meglio, dopo una carriera cinematografica - da
Splash a Insonnia d'amore - spesso melensa e monocorde) è emblematico: un avvocato di successo estromesso dai soci anziani dello studio, apparentemente per un calo di efficienza, in verità per un black-out totale di civiltà di fronte al manifestarsi del morbo.
Nella causa di risarcimento, che costituisce la spina dorsale della pellicola, ciò che conta non è solo la vivace difesa dell'avvocato di Beckett (Denzel Washington), che deve prima di tutto superare le proprie contraddizioni nel focalizzare la questione, e neppure il monito di un altro malato nel suo dichiarare "non sono colpevole, non sono neppure innocente, sto solo cercando di sopravvivere", bensì la "testimonianza" del protagonista, costretto a vivere il proprio inesorabile calvario di fronte all'ignavia dei pregiudizi ed alla devastazione della malattia.
Il verdetto del processo vedrà la sua sedia vuota mentre l'intimismo di una nuova ballata (stavolta a firma e voce di Neil Young) accompagnerà nel finale il raduno funebre per le esequie dell'amico scomparso. Per dare un ulteriore colpo al muro dell'indifferenza e sintonizzare anche lo spettatore meno partecipe su una frequenza di doverosa fraternità.

ezio leoni - La Difesa Del Popolo  13 aprile 1994