Di quale fanta-filosofia ha sete il pubblico cinematografico? La comparsa
sugli schermi di due maxi-prodotti come Contact
e Men in Black può stimolare
l'interrogativo, perché la contemporaneità d'offerta dei
due titoli porta a riflettere sulle dinamiche d'intrattenimento e partecipazione
emotiva dello spettatore comune.
Contact
sposa il misticismo galattico abbracciando la "fede" nella
comunicazione con altre civiltà spaziali che totalizza il vivere
di Ellie Harroway (Jodie Foster), giovane scienziata dedita fin da bambina
all'ascolto dei segnali dell'etere, in attesa spasmodica di una risposta
dalla spazio che dia soluzione alla sua carriera professionale ed alle
chiusure misogine della sua esistenza. La
regia "alta" di Zemeckis
(Ritorno
al futuro,
Chi ha incastrato Roger Rabbit,
Forrest
Gump) non arriva stavolta a imbrigliare
con programmatica partecipazione l'impatto immaginifico:
Contact riesce per buona parte della sua durata a contenere le istanze
futuribili alla moda (il mistero alla
X-Files aleggia da un lato, dall'altro
si fa strada l'eterea carineria New Age) e a dare compiuta sostanza
cinematografica alla tensione cosmica che anima Ellie (grazie anche
all'intensa interpretazione della Foster). Ma la suspense dell'incontro
alieno mantiene il suo fascino fin tanto che l'evolversi del racconto
e il magnetismo della visione hanno le stesse chance di verosimiglianza
e/o incredulità: poi, quando il salto spazio-tempo da
concreta realizzazione al "contatto", il meccanismo narrativo
perde mordente e la meditazione cosmica scivola nella retorica.
Di tutt'altro tono l'impostazione "aliena"
di Men in Black (ormai
MIB per gli appassionati) che presuppone che il contatto extraterrestre
sia ormai storicamente consolidato, ma che l'immigrazione continua di
esseri spaziali extraterrestri sia tenuta segreta ed affidata ad un
corpo speciale di "uomini in nero" che tutela la pacifica
integrazione di multiformi mostri camuffati da umani. L'arrivo
di una "piattola" omicida, che rischia di scatenare un conflitto
galattico fatale al pianeta, mette in azione i nostri eroi K (Tommy
Lee Jones) e J (Will Smith) per una goliardata fantascientifica in cui
tutto è iperbolico, fracassone e "fumettistico" (l'ispirazione
è una serie di Lowell Cunningham). Un
po'
Blues Brothers,
un po'
Ghostbusters,
il film di Sonnenfeld è un giocattolo divertito e divertente,
che non entusiasma, ma che sa risolversi in un'insolita fanta-commedia
capace di coniugare con destrezza il demenziale e l'orripilante, la
comicità greve e la satira sagace, anche cinefila: nel finale
Men in Black
fa il verso proprio all'incipit planetario di Contact, riducendo
le galassie dell'universo a minuscole biglie nelle mani di un "supremo"
mostruoso essere. Irrazionale per irrazionale le sfaccettature fantastiche
dello spettacolo hollywoodiano risultano vincenti anche grazie alle
straordinarie potenzialità degli effetti speciali del cinema
anni 90. In Italia almeno, in inversione di tendenza, gli incassi al
botteghino non sono ancora "fantascientifici".
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