Blood Diamond - Diamanti di sangue
Edward Zwick - USA 2006 - 2h 28'

da Film Tv (Aldo Fittante)

        Quando due elefanti lottano, recita un antico proverbio africano, chi soffre è l'erba. Le dolenti parole ci sono venute in mente spesso mentre guardavamo questo Blood Diamond, uno di quei filmoni di una volta che, sullo sfondo della tremenda, folle guerra civile che sventrò la Sierra leone nel 1999, presenta il conto di una sporchissima storia di diamanti, trafficati illegalmente con la Liberia e con quelle nazioni ricche che reclamano a suon di dollari e di euro preziosi gioielli da sfoggiare nelle vetrine delle altrettanto opulente loro metropoli. Diciamo subito che dopo aver appreso e scoperto gli insanguinati percorsi delle pietre nascoste nelle paludi e sgusciate dalle mani di autentici schiavi (esistono ancora, eccome se esistono), le voglie di accaparrarsene una sola svaniscono parallelamente all'evolversi delle informazioni. E il celebre claim pubblicitario «un diamante è per sempre» d'ora in poi andrebbe abolito o quanto meno trasformato in «se vuoi un diamante, assicurati che provenga da giacimenti dove le condizioni lavorative siano umane». Al di là, comunque, dell'aspetto politico, dei contenuti e del forte impegno della pellicola ben diretta da Zwick (Glory, Vento di passioni, L'ultimo samurai…) e scritta più che bene da Charles Leavitt (quello di Verso il sole di Michael Cimino), le quasi due ore e mezza reggono il passo lungo del regista-podista navigato, con il plus di un mercenario a cui Leonardo DiCaprio (candidato all'Oscar per l'atletica performance) dona un contorno modernamente ambiguo, e di una giornalista (Jennifer Connelly: il suo personaggio ricorda non poco un'eroina del nostro tempo, Ilaria Alpi), a cui una quieta scaltrezza consente di evitare pallottole, mine e soprattutto trappole demagogiche. Contrappuntato da una narrazione lineare, Blood Diamond ha la forza di raccontarsi da solo, di attingere le sue radici nel cinema avventuroso, "avvelenandolo" con squarci da reportage televisivo senza censure. Quanto al triste proverbio di cui sopra, che dire se non riportare ciò che più ferisce nel dialogo di un uomo convinto che, senza conflitti, l'Africa (l'erba) sarebbe un paradiso.

da Il Corriere della Sera (Maurizio Porro)

        Chi ricorda Fuoco verde con Grace Kelly e Stewart Granger (ma siamo in pochi) non stupisce di fronte all'avventurosa ma anche patinata pseudo denuncia dei diamanti insanguinati in Sierra Leone, venduti di contrabbando per finanziare le guerre civili della martoriata Africa. Personaggi in simil Hemingway, dall'ex trafficante mercenario, idealista travestito da nichilista, Leonardo DiCaprio («nominato» per questo ruolo alla Bogart, assai più bravo in Departed) alla reporter progressista da scoop anni 30 (la Connelly, da piccola negli horror di Argento, ma anche in C'era una volta in America) fino al buon gigante, il pescatore nero che cerca la famiglia e il maxi diamante. La storia di Zwick, che si prolunga più del necessario, manda in buca con tre finali i buoni sentimenti oltre a un monito da speciale del tiggì che ci informa su una tragedia rimossa e ha fatto comunque irritare, più che i cinefili, i commercianti di preziosi.

da Liberazione (Roberta Ronconi)

        Blood Diamond è un puro film hollywoodiano. E' targato Warner, e la Warner fa film di intrattenimento. Blood Diamond però è anche un film sull'Africa, l'Africa ricca di materie prime sfruttate da potenze economiche straniere. Parla di diamanti e di come questi siano macchiati del sangue di centinaia di migliaia di vittime, e delle vite devastate dei bambini-soldato. Parla di quei diamanti che si vendono per comprare armi, che servono a fomentare guerre che aiutano a sottomettere nazioni per sfruttarne le materie prime, in un circolo poco virtuoso. Blood Diamond è anche un filmone d'amore, un action, e una prova d'attori di quelle costruite a tavolino per portare i divi agli Oscar. Come tutte queste cose si possano reggere in piedi è la scommessa del regista da grossi incassi Edward Zwick, affiancato da un produttore "impegnato" come Marshall Herskovitz e soprattutto da un consulente come il documentarista Sorious Samura, autore di Cry Freetown uno dei più crudi documentari sulla Sierra Leone. Il risultato è un film che non solo intreccia stili e ambizioni anche molto diversi tra loro, ma che rappresenta anche diverse anime. Il risultato è un compromesso di intenti da cui, a nostro avviso, non si può prescindere nel commentare questo film. La storia. Sierra Leone, 1999. La nazione africana, dopo decenni di rivolgimenti politici e colpi di stato è sotto la morsa dei ribelli del Ruf, il Fronte Unito Rivoluzionario che, dopo aver rovesciato il governo di Kabbah, tiene sotto l'assedio delle armi Freetown. La terra africana è nel caos più totale, il sangue di migliaia di innocenti scorre per le strade e nelle foreste, chi sopravvive è costretto a lavorare nei giacimenti di diamanti, che i ribelli vendono sui mercati occidentali in cambio di armi. Sono diamanti sporchi di sangue, sono diamanti che non dovrebbero poter entrare nel mercato, ma i commercianti di Anversa sanno come dargli una bella ripulita magari facendoli passare per l'India. Il nostro eroe cattivo si chiama Danny (Leo di Caprio), è un ex mercenario dello Zimbabwe che ora fa il lavoro sporco in Sierra Leone per i potentati occidentali dei diamanti. Porta armi, prende diamanti. Fino al giorno in cui non incappa in Solomon, pescatore del Mende che ha visto sterminare il suo villaggio dai ribelli del Ruf e portare via tutta la sua famiglia. Internato in un giacimento di pietre, Solomon trova un diamante di quelli che possono decidere della vita e della morte di molti uomini. Alla storia dei due, si intreccia quella della giornalista d'assalto Maddy (Jennifer Connelly) che vuole a tutti i costi scoprire come i "blood diamonds" riescano ad uscire dalla Sierra Leone e in che mani giungano alla fine del loro "rilavaggio". Per buona prima parte, la forza del film è nell'affresco di un'Africa battuta dalla ferocia, precipitata nel caos e aizzata nelle sue contraddizioni da poteri esterni interessati allo sfruttamento delle sue ricchezze. «Speriamo non trovino mai il petrolio nel mio paese », dice un vecchio aggirandosi sciancato tra catapecchie date alle fiamme e cadaveri. Nonostante l'alta spettacolarizzazione, la tragedia di una nazione - che ha visto 370mila morti, l'asservimento al sangue di decine di migliaia di bambini, stupri, mutilazioni e infinita miseria - trapela con forza nelle nostre coscienze sporche e disinformate. E la seconda parte del film, tutta concentrata sulla love story contrastata e i primi piani di un Di Caprio in cerca di statuetta, non basta a far dimenticare. A vederla in bianco e nero, si può tranquillamente dire che è il solito polpettone lava-mani americano. A vederla nelle tonalità del grigio - ed è la nostra scelta – diciamo assieme ad Amnesty che in alcuni casi disperati, come quello del continente africano («continente martire», lo ha definito giustamente Zanotelli) «sia come sia, basta che se ne parli». Aggiungiamo che la produzione del film ha lasciato nei luoghi delle location soldi (circa 40 milioni di dollari) e materiali; aggiungiamo che l'uscita natalizia negli USA ha sconvolto i gioiellieri della Grande Mela. E aggiungiamo che alla campagna promozionale del film si è accodata Amnesty International per ritornare all'attacco: non è vero, come si dice nei titoli di coda del film, che i "diamanti di sangue" sono storia del passato, per quanto recente (il "Processo di Kimberly" del 2003 ha costretto i governi ad una certificazione delle pietre che dovrebbe permettere di risalire alla loro provenienza). Nell'ottobre del 2006 un nuovo rapporto delle Nazioni Unite ha rivelato che diamanti per un valore di 23 milioni di dollari provenienti dalla Costa d'Avorio sono stati infiltrati nel commercio legale passando per il Ghana. Leonardo Di Caprio forse vincerà la sua statuetta (meritata), ma sugli schermi è anche passato uno squarcio d'Africa e noi abbiamo un'occasione in più per non dimenticarlo.

 

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Quasi uno di quei filmoni di una volta che, sullo sfondo della tremenda, folle guerra civile che sventrò la Sierra leone nel 1999, presenta il conto di una sporchissima storia di diamanti, trafficati illegalmente con la Liberia e con quelle nazioni ricche che reclamano a suon di dollari e di euro preziosi gioielli da sfoggiare nelle vetrine delle altrettanto opulente loro metropoli. Con personaggi in simil Hemingway e contrappuntato da una narrazione lineare, Blood Diamond ha la forza di raccontarsi da solo, di attingere le sue radici nel cinema avventuroso, "avvelenandolo" con squarci da reportage televisivo senza censure. Sugli schermi passa un inedito squarcio d'Africa e noi abbiamo un'occasione in più per non dimenticare.

TORRESINO marzo 2007
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