È
una questione ormai datata e di poco interesse per gli studi
cinematografici l’adattamento di un romanzo per il grande schermo.
Eppure eludere del tutto la preesistenza di un testo letterario è
davvero impossibile. Il dilemma che accompagna ogni trasposizione
rimane: il testo filmico è fedele o meno al romanzo? “Qual è più
bello?”, domanda tanto antipatica quanto scontata all’uscita della
proiezione. Non ci preoccupiamo di rispondere a questo ora. Piuttosto,
introduciamo la questione nella misura in cui tra romanzo, film,
autore e protagonista del libro, produttore e regista del film si
costruisce un fitto intrecciarsi di relazioni che fanno oscillare a
più riprese l’analisi dell’opera tra il piano della finzione
(letteraria o filmica che sia) e quello della vita reale.
La versione di Barney
film è più che una trasposizione dell’omonimo romanzo. Con questo
«più» non si vuole alludere a giudizi qualitativi né tanto meno
quantitativi, semplicemente fare riferimento alla stretta
collaborazione tra Robert Lantos (produttore del film) e Mordecai
Richler (autore del romanzo) e ai riflessi che l’enorme apprezzamento
del romanzo ha suscitato presso numerosi artisti, canadesi in primis e
perlopiù presenti come camei nel film (compaiono David Cronenberg
,
Atom Egoyan
, Denys Arcand
, Ted Kotcheff - l’amico e regista con cui
Richler ha lavorato ad alcuni adattamenti, tra cui Joshua allora e ora
– mentre il regista stesso, Richard J. Lewis, compare come patologo).
Dunque una trasposizione, ma soprattutto un omaggio all’amico, stimato
conterraneo, Mordecai.
Il romanzo esce per la prima volta nel 1997, del 2000 è l’edizione
italiana, solo un anno dopo l’autore ci lascia. Il padre artistico di
Barney non riesce a vedere il suo personaggio incarnatosi in Paul
Giamatti per il grande schermo, ma la collaborazione tra Richler a
Lantos inizia ben prima. “Ho letto La versione di Barney per la
prima volta quando Mordecai mi ha mandato il manoscritto” ricorda
il produttore aggiungendo poi “È un romanzo scritto da uno dei miei
autori preferiti e uno dei migliori libri che lui abbia mai scritto”.
Lantos si appassiona al personaggio, a questo Barney Panofsky, della
cui vita si segue un lungo spaccato – circa una quarantina d’anni,
divisi tra l’Europa e l’America e tra tre diverse mogli – secondo
appunto la sua versione. Personaggio irriverente, scontroso,
arrivista, a tratti irritante e politicamente scorretto, ma anche
furbo e (auto)ironico (si pensi al nome Totally Unnecessary
Productions che dà alla compagnia televisiva a cui deve il
successo), esce dal proprio autoritratto come un inetto, eppure non
mancano occasioni per scoprirlo uomo non meno gentile, brillante e
romantico di altri. Come osserva il regista, Barney è una sorta di
personaggio-simbolo nella misura in cui «tutti abbiamo dentro quel
mostro latente, intenzionato a sabotare la nostra felicità».
Barney Panofsky lo conosciamo prima a Roma (la Parigi del romanzo.
Unica deliberata infedeltà voluta da Lantos e approvata da Richler
stesso), dove da bohemien, frequenta un gruppo d’amici tra cui l’amico
Boogie (Scott Speedman) e la pittrice Clara (Rachelle Lefevre), colei
che sarà la sua prima moglie, poi a Montreal dove si risposa prima con
la facoltosa Mrs. ‘P’ (Minnie Driver) e poi, una terza volta, con
Miriam (Rosamund Pike). Il suo raccontarsi segue il
ritmo e la densità
dei ricordi, talvolta traditi dalla poca memoria talvolta annebbiati
dall’alcool, ma temporalmente ben ordinati dalla scansione diacronica
dei tre matrimoni, ciascuno dei quali racconta un pezzetto (di vita)
di Barney.
È verosimile trovare specchiarsi nell’immagine del protagonista alcuni
tratti del profilo di Richler, figura alquanto controversa a Montreal
(città natale di Mordeacai, come del produttore e dello sceneggiatore)
per la sua satira politica, religiosa e sociale senza esclusione di
colpi, ma fuori dubbio narratore stimato nonché importante
collaboratore in progetti cinematografici. Alla stessa sceneggiatura
di
Barney's Version,
poi affidata a Michael Konyves, l’autore lavorò stendendo le prime
bozze. E fu proprio il lavoro di sceneggiatura che, ricorda Lantos,
segnò le tappe più difficili del film, in parte per la perdita di
Richler, in parte per la struttura narrativa che, spesso in prima
persona, si fa antipatica in sede di adattamento cinematografico. A
Konyves si deve allora la scelta felice di evitare l’escamotage della
voice over mentre al produttore – dietro al progetto
per oltre dieci anni – quella, come protagonista, di Giamatti, il cui personaggio in
Sideways è per certi versi
l’antesignano di Barney Panosfky. Purtroppo al regista, Richard J.
Lewis, non rimane un lavoro facile e il risultato non va molto al di
là di un film convenzionale. Forse avvezzo alla regia televisiva (dal
2000 al 2006 lavora a CSI: Crime Scene Investigation), non sa
sfruttare le infedeltà al romanzo per staccarsi da un impianto
narrativo prevedibile che poco regala oltre a qualche momento di
simpatia per questo Barney anti-eroe.
Nota a parte merita Pasquale Catalano, autore della colonna sonora,
che insieme al set romano e alla produzione Fandango fanno de
La versione di Barney
cinematografica un prodotto parzialmente made in Italy.
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