Miles
è depresso: insegna senza passione, non ha superato il divorzio, il suo
romanzo resta nel cassetto. Jack sta per sposarsi; è un ex-attore che
presta la voce alla pubblicità. Sono entrambi in piena crisi esistenziale.
Per dire addio al celibato di Jack, i due amici percorrono la strada dei
vini in California, degustando cabernet e pinot; frattanto, comincia il
ballo dei rimpianti, delle frustrazioni e dei rimorsi. Quando incontrano
due donne, l'una sommelier l'altra cameriera, entrambi vedono balenare una
fragile opportunità di ricominciare. Chi ricorda
A proposito di Schmidt
con Jack Nicholson, sa che Alexander Payne
varia su un repertorio
ricorrente: personaggi in crisi (là dei sessanta, qui della quarantina),
tipi umani dalla marginalità pienamente assunta, struttura narrativa del
road-movie, in passato un po' abusata ma che il regista rinnova tingendola
di un'inedita malinconia. Candidato a cinque Oscar in categorie importanti
(tra cui miglior film e miglior regista),
Sideways
è una tragicommedia un po' sopravvalutata, però dai molti piccoli pregi. A
partire dalla metafora del vino: con cui Miles, manipolatore di parole,
comunica agli altri uno stato di malessere che si vergognerebbe di
esprimere in forma più diretta. Molto riuscito anche l'impasto di
tenerezza e umanità, ironia e cinismo con cui il film osserva i suoi
personaggi. Ma che, purtroppo, si va perdendo in una seconda parte più
compiacente, nello sforzo di accontentare tutti. |