L'età barbarica (L'Âge des ténèbres)
Denys Arcand - Canada 2007 - 1h 51'

"20 anni di matrimonio sono  per la prostata come 40 sigarette al giorno per i polmoni"

    Dopo la rivelazione di Il declino dell’impero americano ed il successo de Le invasioni barbariche ecco L’età barbarica (in originale L’età delle tenebre, il titolo italiano punta sull’assonanza). Il tono è sempre quello, tra il serio e il faceto, con una tematica stavolta più personalistica e intimista, certo legata all’imbarbarimento della società moderna (con il Canada francofono come riferimento culturale), ma pulsante dei fastidi, delle frustrazioni, delle aspettative e dei sogni di Jean-Marc (Marc Labrèche), solingo travet dell’ufficio statale, sezione reclami.
L’incipit de
L’età barbarica ha un accattivante fascino melomane, con la scenografia in costume e l’interpretazione del cantante lirico Rufus Wainwright, ed è l’entrata in campo di Labrèche a rompere l’incanto, delineando il tono onirico che caratterizza il film di Denis Arcand, evidente rimando a Sogni proibiti di Danny Kaye. Ma il sorriso qui è velato di greve sarcasmo e come la radiosa presenza di Diane Kruger, dopo un sensuale abbraccio sotto la doccia, svanisce in fretta (la brusca interruzione del sogno è segnato dall’arrivo della moglie), così il reiterarsi delle consolatorie illusioni che accompagnano la grama esistenza di Jean-Marc non riescono a tener viva a lungo un’emozione divertita e, tra umorismo e depressione, la seconda parte de L’età barbarica scivola in un’irrisolutezza monocorde sbilanciata tra guizzi di bizzarra ironia e parentesi di stereotipata verbosità.
Restano piacevolmente impressi l’isterico stacanovismo della moglie in carriera, l’isolamento umano ed acustico delle figlie (videogame e cuffiette sempre “inseriti”), l’estremizzato divieto di fumo (messo al bando per almeno un km dagli uffici, con tanto di cani a controllare le eventuali infrazioni), il tribunale d’inquisizione linguistico che persegue l’uso di termini impropri (frasi come “lavorare come un negro” drasticamente messe al bando!), lo sguardo finale di speranza verso un futuro incontaminato (le mele di Cézanne!). Ma episodi come quello del “gioco medioevale”, con eccesso di buffi duelli e scontate gag (a quanto pare gli insoddisfatti canadesi amano dare così libero sfogo alle loro fantasie), superano talvolta la soglia del fastidio e la malinconia di mezza età, che progressivamente prede il posto delle brillanti invenzioni iniziali, lascia la sensazione di una commedia d’autore riuscita a metà. Anche nell’originalità corrosiva di Arcand qualche tenebra si è fatta strada
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ezio leoni - La Difesa del Popolo  23 dicembre 2007


LUX - dicembre/gennaio 2007

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