Un
"primo film" che viene da Israele, diretto da una coppia di artisti, Shira
Geffen (anche sceneggiatrice) e Etgar Keret, premiato con la Caméra d'Or a
Cannes. Vale assolutamente la pena vederlo: pur lontano dalle implicazioni
geopolitiche con cui siamo soliti pensare quel paese,
Meduse
mette in scena personaggi che forse ci somigliano, di certo ci riguardano,
con un tocco lieve ma ricco di senso.
Durante la sua festa di nozze, Karen ha un incidente nelle toilette e deve
starsene a riposo coatto. Batya, in ambasce sentimentali, si vede
comparire davanti una bambina misteriosa come uscita dall'acqua. La
cameriera filippina Joy vorrebbe rivedere suo figlio, rimasto al paese, ma
deve prendersi cura di una vecchia signora irascibile. Tre donne che, in
apparenza, hanno in comune solo la festa di matrimonio con cui si apre il
film; in realtà, fluttuano nei propri destini come le meduse del titolo.
Il film fa loro condividere, a distanza, un momento di pausa, una sorta di
messa in parentesi del quotidiano che rappresenta anche una possibilità di
rigenerazione. Adagiato lungo il mare di Tel Aviv, un film poetico blu
come il mare; un po' cronaca un po' favola urbana, un po' "sognato". |
Sei
personaggi, tante piccole storie, una città di mare vista in una luce del
tutto diversa dal solito (Tel Aviv), tante vite "bloccate" nell'apatia o
nel risentimento che riprendono il loro corso grazie a qualcuno che spesso
nemmeno è consapevole del suo ruolo.
Ci sono film che sembrano fatti della materia impalpabile delle emozioni,
la materia cui danno forma con pochi tocchi leggeri e precisi impastando
interno e esterno, vita e sogno, passato e presente. Diretto da una coppia
di scrittori israeliani già molto affermati ma al debutto nel cinema,
premiato con la Caméra d'or a Cannes,
Meduse
è uno di questi piccoli film miracolosi che parlano di piccoli miracoli
quotidiani con il pathos, lo humour, l'efficacia delle fiabe impastate con
la nostra vita di tutti i giorni.
I protagonisti, che non si conoscono fra loro, sono una coppia di sposini
freschi di nozze arenata in un brutto albergo che puzza di fogna. Una
ragazza che ha appena perso fidanzato e lavoro. Una domestica filippina
che tutti trattano come una serva (chiamandola "la filippina", come troppo
spesso si fa anche in Italia), ma che finirà per esercitare un ruolo
addirittura salvifico sulle persone per cui lavora.
Nessuno di loro saprebbe guardarsi dentro, capire chi ha vicino, ritrovare
da solo il cammino. Ma ognuno di loro incontrerà, per caso o meno, un
testimone inatteso, uno sguardo obliquo, un momento della verità dopo il
quale nulla sarà più come prima. Il tutto seguendo non la via artificiosa
e sentimentale dei copioni "ben strutturati" all'americana, ma restando
sempre molto aderenti alle cose minute della vita, con tutte le loro
imperfezioni. Che possono rovesciarsi a sorpresa nel loro opposto. Così
una morte diventa un passaggio; una bimbetta con un salvagente venuta da
chissà dove apre le porte del passato e del perdono; una scrittrice bella
e misteriosa annuncia un cambiamento imprevedibile. Conforta sapere che in
una società sotto tiro come Israele lavorino artisti dotati di tanta
leggerezza. Capaci per giunta di passare con disinvoltura da un mezzo
all'altro. Leggere per credere i folgoranti racconti di Etgar Keret
pubblicati in Italia da e/o (Le
tette di una diciottenne, Pizzeria Kamikaze,
Gaza Blues). Anche se
Meduse
lo ha scritto sua moglie e lo hanno girato insieme, montandolo poi mentre
nasceva il loro primo figlio. Più fiaba di così. |
Personaggi
che, come da titolo, fluttuano nel mare della vita condotti dalla corrente
della casualità (o dell'inconscio?): sono i protagonisti di Meduse, opera
prima firmata dallo scrittore israeliano Etgar Ekert con la moglie
sceneggiatrice Shira Geffen. E anche se il copione porta solo il nome di
lei è facile ritrovare in questo bel film la grazia malinconica e la
comicità surreale dei racconti brevi per cui Ekert è giustamente divenuto
famoso. Sullo sfondo Tel Aviv, città di approdo di transfughi da tutto il
mondo, e cornice di un frammentario teatrino umano imbastito su tre
«non-storie» dove si sfiorano senza incrociarsi le esistenze di una
giovane cameriera imbranata, di due sposini in luna di miele e di una
badante filippina. Solitudine, incapacità di comunicare, traumi del
passato che riemergono, in un girotondo esistenziale imbastito secondo un
meccanismo narrativo molto in voga nel cinema da una decina di anni. Ma
qui colpiscono la limpidezza dell'immagine e una complessità che si palesa
con la semplicità di un sogno, prima che ci arrischiamo a interpretarlo. |