L'altra verità
(Route Irish)
Ken Loach
- Gran Bretagna/Francia/Italia/Belgio/Spagna
2010
- 1h 49' |
Potrebbe
essere un thriller di denuncia, ma
Loach e il suo fedele sceneggiatore
Paul Laverty usano il cinema di genere a metà e un po' come uno
specchietto per allodole e, malgrado la consueta sensibilità e attenzione
per comprimari e sottotrame, pur di non accordare un grammo di fascino (e
di profondità) ai cattivi della storia, finiscano per creare personaggi un
poco simbolici- dimostrativi. Come un teorema. Il punto infatti non è cosa
è successo a Bagdad, ma cosa accadrà a Liverpool. E l'import-export
dell'orrore che ci fa capire cosa accade ogni giorno, qua come là, nelle
teste di chi torna (se torna). Anche perché l'elettrico Fergus a sua volta
ex-contractor, userà contro gli ex-superiori per cui la guerra è solo un
business, gli stessi metodi usati in Iraq. Tortura compresa, in una scena
sobria e agghiacciante che mette lui (e noi) su una falsa pista, perché il
torturato dice qualsiasi cosa pur di finirla... Così, a differenza che in
un qualsiasi thriller teso e rassicurante, qui la verità emerge ma non
trionfa. Ogni scoperta conduce a un'altra, peggiore. Ogni passo avanti
nell'indagine spinge Fergus un po' più in basso. Dovevamo esportare
democrazia, invece abbiamo importato barbarie. La giustizia è un mito. Non
ci sono più eroi, nemmeno negativi. La guerra è dentro di noi....
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Fabio Ferzetti - Il Messaggero |
Per
una volta l'infedele traduzione italiana del titolo rischia di rivelarsi
un aiuto per lo spettatore. Trasformare il titolo originale
Route Irish
(nome convenzionale dato alla strada che collega Baghdad con il suo
aeroporto, a detta dei militari una delle più pericolose in assoluto
perché indifendibile dagli attentati) come ha fatto il distributore
italiano in L'altra
verità, è un modo per indirizzare lo spettatore
verso il cuore del film [...] Il nodo del film di
Ken
Loach è tutto negli
ambigui comportamenti di chi recluta i contractor e nel 'monstrum legale'
dell''Ordine 17', una disposizione imposta al Parlamento iracheno dalle
autorità provvisorie d'occupazione che garantiva l'immunità dalle leggi
locali a questi 'soldati privati'. Al regista inglese e al suo
sceneggiatore Paul Laverty [...] interessa svelare questo stato di cose, i
soprusi e i delitti che si compivano quotidianamente per difendere degli
interessi che non avevano niente a che fare né con la pace né con la
stabilità internazionale. È forse la parte più interessante del film
quella in cui Fergus passa dai sospetti alle certezze, coinvolgendo nella
sua ricerca anche un musicista/traduttore iracheno e soprattutto Rachel,
la vedova che prima vedeva nel protagonista una specie di sovreccitato
attaccabrighe e che poi capisce che forse solo da lui può arrivare
un''altra verità'. Quello che invece riesce meno a Loach è mettere insieme
due logiche in qualche modo antitetiche: da una parte quella del film
d'azione e di detection, costretta a tenere sempre alta la tensione per
coinvolgere lo spettatore nella ricerca della soluzione; dall'altra la
necessità di spiegare e far capire i meccanismi politici (e militari) che
sono alla base del lavoro dei contractor. La prima logica ha bisogno di
colpi di scena, di tensioni forti, di scene ad effetto; la seconda avrebbe
bisogno di più calma, una maggior lentezza narrativa, una più approfondita
disamina dei fatti. Loach propende stavolta decisamente per la prima. |
Paolo Mereghetti - Il Corriere della Sera |
Presentato
in concorso a Cannes un anno fa, il film di
Loach ne ha spiazzato
soprattutto gli estimatori, stupiti che il regista e lo sceneggiatore dei
suoi film migliori, Paul Laverty, si siano spostati sul terreno scivoloso
del 'revenge movie', il film di vendetta tradizionalmente più congeniale a
Stallone, Schwarzenegger e relativi epigoni che non a un autore di
sinistra conclamato. La messa in scena della violenza, in effetti, non fa
sconti allo spettatore; inclusa la tecnica di tortura legalizzata che i
mercenari infliggevano alla popolazione irachena. Portando
all'esasperazione la tensione del protagonista (lo interpreta con rabbia
convincente Mark Womack, attore televisivo), Loach e Laverty rivisitano le
figure più codificate del thriller paranoico; anche il personaggio di
Rachel (Andrea Lowe, al debutto nel cinema), la donna al bivio tra due
uomini e che un tempo li ha separati, appartiene a un repertorio ben noto.
E' come se regista e sceneggiatore (insolitamente disposto ai dialoghi
didascalici) si preoccupassero di essere il più chiari possibile nella
loro denuncia, scegliendo perciò di adottare le convenzioni del cinema
popolare. A differenza del quale, però, non esiste qui la catarsi che
eroicizza il vendicatore come nei thriller reazionari di Hollywood.
L'altra verità,
anzi, è traversato da un pessimismo integrale, ai limiti del nichilismo.
Perfino la macchina da presa del grande direttore della fotografia Chris
Menges è arrabbiata, e lo è a freddo; nervosa e destabilizzata, gira
intorno a se stessa come cercasse di controllare il terreno e di
proteggersi le spalle. Un Loach diverso? Non così tanto: se in
Terra e libertà
il regista rivisitava la guerra di Spagna con aperture al romanticismo,
Il vento che
accarezza l'erba (Palma d'oro a
Cannes ne12006) raccontava già il conflitto armato in Irlanda con estrema
violenza e ben poche speranze nell'umanità. |
Roberto Nepoti - La Repubblica |
Pur
senza appartenere al
Loach più ispirato,
L'altra verità
ha un respiro di racconto forte e sincero, lanciato nelle convulsioni
della denuncia strutturata sull'estreme conseguenze di un comportamento da
rivalsa senza perdono. A tortura si risponde con la tortura magari usando
l'acqua secondo l'ipocrita presunzione-alibi del 'niente sangue niente
peccato', a un assassinio si replica con un omicidio. Le rampogne di
rambismo rivolte a Loach sono fuori luogo perché la sua macchina da presa
dettaglia proprio le emozioni di 'rambi' spaesati che reagiscono soltanto
secondo quanto hanno imparato in addestramento e in battaglia. È davvero
un Ken Loach implacabile, probabilmente indotto dalla foga a osare oltre
misura, ma non si gli può certamente rimproverare di non aver allestito un
thriller teso e convincente, così come non ci si può accorgere soltanto
con
L'altra verità
che le sue sequenze possiedono il metronomo, lo stile e l'impulso dello
schematismo manicheo. Anche se in realtà Bene e Male sono categorie
escluse a priori dentro la perlustrazione della più controversa guerra
contemporanea che Loach prende di petto nella sua totale repulsione verso
l'impunità del potere. |
Natalino Bruzzone - Il Secolo XIX |
promo |
Frankie e
Fergus sono due amici che lavorano come guardie per una società
privata che si occupa di sicurezza in Iraq. Quando Frankie viene
ucciso sulla strada che collega l'aeroporto alla Green Zone, la
zona franca di Baghdad, Fergus è devastato dal dolore e dal senso
di colpa. Poco convinto dalla spiegazione ufficiale decide di
indagare per proprio conto e di andare in fondo alla vicenda per
scoprire le reali cause e circostanze che hanno causato la morte
dell'amico.
Inseguendo l’evoluzione psico-fisica di Fergus, la regia prende le
distanze dai suoi personaggi, li manovra su una partitura a tesi,
li fiancheggia senza partecipazione emotiva. Pur senza appartenere
al Loach più ispirato, L'altra verità ha un respiro di
racconto forte e sincero. Dovevamo esportare democrazia, invece
abbiamo importato barbarie. La guerra è dentro di noi... |
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LUX
- maggio 2011
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