È l’ultima
incarnazione di una figura cara alla cultura giovanile, il bad boy o
la bad girl: il bastardo bello e tormentato, che affascina eppure fa
paura. Aspetto che ritroviamo rappresentato in forma molto più
ambigua ed inquietante anche nel film
svedese
Lasciami
entrare di Tomas
Alfredson (tratto dal romanzo di J. A. Lindqvist, a sua volta
ispirato alla novella Carmilla di Le Fanu), sublime lettura
del mito in chiave contemporanea, che affida il ruolo del
vampiro ad
una giovane adolescente, che porta su di sé le stimmate dell’
emarginazione sociale e culturale, ma nello stesso tempo è dotata di
una forza, derivata proprio da questa sua diversità, che prelude ad
una possibilità di dominio. Purtroppo la visibilità del film di Alfredson, sicuramente uno dei più interessanti di questa stagione,
è stata oscurata dalla sua presenza sugli schermi in contemporanea
con
Twilight.
È innegabile che l’inossidabilità di un mito, come quello del
vampiro, sia dovuta al fatto che temi come la morte e l’immortalità
continueranno sempre ad affascinare e che l’interrogativo che il
vampiro pone su dove stia il confine tra la vita e la morte sia una
domanda estremamente attuale, ma ciò che rende unica la figura del
vampiro è il suo essere tutt’uno con il cinema.
In una sequenza del bellissimo
Dracula di Bram
Stoker di Coppola
vediamo Dracula che conduce l’amata Mina, in occasione di uno dei
loro primi appuntamenti, in una sala cinematografica. Coppola volle
alludere al fatto che nel lungo periodo di oblio in cui cadde il
romanzo di Stoker, fu il cinema a ridare vita al suo mito. Se c’è
infatti un personaggio letterario, che, grazie al cinema, è
sopravvissuto al romanzo che l’ha creato, questo è Dracula.
Il romanzo di Bram Stoker Dracula venne pubblicato dalla
Archibald Constable & Co. di Londra nel 1897, ebbe un discreto
successo, ma fu seguito da un’unica ristampa nel 1913, dopo di che
rimase introvabile fino al rinnovato interesse per l’autore e per il
personaggio negli anni Settanta, molto tempo dopo il suo ingresso
nel mondo del cinema e nell’immaginario popolare. Questo lungo
silenzio è stato rotto solo dalla voce che ha saputo dargli il
cinema, nato poco più di un anno prima della pubblicazione del
romanzo.
I primi film di vampiri risalgono al secondo decennio del secolo,
che è quello in cui prende forma il racconto cinematografico: si
tratta di opere per lo più inglesi o americane, spesso anonime, per
lo più andate distrutte.
Il primo vero film ispirato al Dracula di Stoker è
Nosferatu il
vampiro di Fredrich
Murnau del 1921. Esso nasce in un clima culturale che, dopo
la prima guerra mondiale, rivive angosce e paure che hanno già
alimentato l’espressionismo. Il grande tema di Murnau è lo scontro
col destino, in cui ogni personaggio è ciò che deve essere e non ha
scelta, la vittoria del Male è iscritta nel nostro destino, a nulla
approda la lotta della ragione contro il mistero. Non a caso il
finale di Murnau è completamente diverso da quello di Stoker. Ellen
si sacrifica e muore tra le braccia di Hutter, dopo aver trattenuto
Orlok fino al sorgere del sole, in un amplesso in qualche modo
desiderato. Sennonché Murnau introduce anche con insistenza le
immagini della peste, "senza le quali Nosferatu sarebbe
soltanto un’allegoria del desiderio che muore nel momento in cui
viene soddisfatto. La peste svincola il film dall’astrazione
romantica, restituisce una Weltanschauung dominata dalle tenebre e
dall’autodistruzione, da un mondo che muore senza lasciarne apparire
uno nuovo” (Cremonini,
Dracula). L’attore austriaco, poco
noto, Max Schreck, scelto da Murnau per interpretare il vampiro,
dona al personaggio una fissità espressiva, quasi da maschera, i
suoi movimenti sospesi tra lo ieratico e il meccanico ne fanno
un’icona semovente, un quadro che esce dalla cornice, quando non
addirittura solo un’ombra che sostituisce la figura. Murnau gioca
spesso sulla natura di ombra del suo protagonista, ombra che a volte
si muove indipendentemente dal suo corpo: l’ombra di Nosferatu non è
la metafora dell’anima, ma quella, altrettanto metafisica del male.
Nel 1930, dopo un’estenuante trattativa con la vedova Stoker,
la casa di produzione americana Universal riuscì ad aggiudicarsi i
diritti per la trasposizione cinematografica di Dracula. La
regia venne affidata a Tod Browning e la parte del vampiro
all’attore di origini ungheresi Bela Lugosi, che lo aveva già
interpretato con successo a teatro. il
Dracula
di Browning puntava soprattutto sulle atmosfere, grazie alla
collaborazione con il grande fotografo Karl Freund: il Dracula in
versione elegante, con frack e mantello nero di Lugosi, che tra
l’altro contribuiva a rafforzarne l’esotismo grazie alla sua
pronuncia straniera e gutturale, lascerà una traccia per molte
interpretazioni successive.
Il successo del film, di cui uscì tra l’altro anche una versione
spagnola, e la realizzazione in contemporanea di un altro film
horror Frankenstein ebbe come conseguenza la nascita di una
vera e propria “scuola Universal” specializzata nel genere. Nel
clima politico conseguente la grande crisi, quando temi come sesso e
denaro erano banditi dall’industria dell’intrattenimento, la
Universal diventò portabandiera del genere e mise in cantiere una
serie di sequel, per lo più affidati alla coppia collaudata Browning
– Lugosi, sostituito a un certo punto da Lon Chaney Jr:
La figlia di
Dracula,
Il figlio di
Dracula,
La casa di
Dracula…
Se la ripetizione non può che affossare un mito, esso trovò però una
fonte di rivitalizzazione nel 1938 in una versione radiofonica del
romanzo di Stoker curata niente meno che dal giovane Orson Welles,
non ancora approdato al cinema. Ma una vera resurrezione del vampiro
si ebbe in Inghilterra alla fine degli anni Cinquanta in
Inghilterra, dove la Hammer Films si riappropriò del personaggio,
riportandolo in Gran Bretagna e intrecciandone la storia con quella
di Frankenstein.
La maschera di Frankenstein (1957) e
Dracula il
vampiro (1958)
sono diretti da Terence Fisher e hanno come protagonisti Christopher
Lee e Peter Cushing. L’atmosfera è quella del romanzo gotico,
vittoriano, i vampiri non sono più esseri malinconici, come per
Murnau, ma sono sensualmente e platealmente assetati di sangue,
seducenti e violenti allo stesso tempo, tangibile minaccia per la
società inglese, a partire dal suo nucleo fondamentale, la famiglia.
Fisher lavora con efficacia sul colore e questo non può essere altro
che il colore del sangue, tanto più rosso quanto più livido è il
volto di Lee. Il cinema classico, con il suo gusto per l’allusività
e le suggestioni è finito, sostituito dal gusto crescente della
visibilità, l’orrore non lascia più molto alla sua immaginazione. Lo
stile Hammer si protrae fino al 1970 con sette film,
alternati a quelli di altri mostri:
Le spose di
Dracula,
Dracula
principe delle tenebre,
Le
amanti di Dracula…
Troviamo poi due versioni diverse, ma entrambe molto valide dal
punto di vista cinematografico, del mito: l’una in chiave
parodistica
Per favore non mordermi sul collo
(1967) di Roman Polanski e l’altra in chiave nostalgica,
quasi di remake del film di Murnau,
Nosferatu, il
principe della notte
(1979) di Werner Herzog, fino ad arrivare a quella che è una
delle versioni più colte del celebre romanzo e certamente una delle
più riuscite:
Dracula di Bram Stoker
(1992) di Francis Ford Coppola.
Il film di Coppola, che si mantiene fedele al romanzo, dal punto di
vista della sceneggiatura, sostituisce però l’alternarsi di punti di
vista di Stoker con una ricerca insistente di una continuità della
visione, grazie alla quale l’intera pellicola è pensata quasi fosse
un flusso continuo, ininterrotto, che appare come un nuovo modo di
pensare il cinema e il mondo attraverso il cinema.
Questo nuovo modo di pensare affonda paradossalmente nel fare uso
del cinema classico. Non solo abbondano le citazioni dei film sui
vampiri precedenti (vedi l’ombra di Dracula che si muove
autonomamente come quella del Nosferatu di Murnau o la celebre
frase, mutuata da Browning “I never drink wine”), ma Coppola
non esita a servirsi delle tecnologie avanzate per rifare il cinema
classico, con le sue dissolvenze, chiusure a iride, la sua sintassi,
ecc.; facendo del linguaggio-cinema il vero soggetto del film,
nascosto dietro il plot, composito e polimorfo come un vampiro. In
questo senso quest’ultimo viene esplicitamente identificato col
cinema, inteso come sintesi vampirica di tutte le arti, immagine e
desiderio oltre la morte, ma soprattutto come metamorfosi continua e
inafferrabile.
Dracula nasce e muore in Transilvania; Bram Stoker è irlandese; il
suo romanzo viene pubblicato a Londra, gli onori dello schermo gli
vengono tributati prima in Germania, poi negli USA. In seguito
avremo vampiri inglesi, italiani, spagnoli, francesi, turchi,
messicani, giapponesi, cinesi, filippini, a dimostrazione della sua
immortalità e del fascino che ancora riesce a suscitare, in quanto
la forza di un mito sta nell’essere disponibile alle varie
interpretazioni suggerite dal tempo e dalla storia.
Cristina Menegolli |