Alla
fine il “Primo premio Bergamo Film Meeting” (sparita purtroppo la
rosa camuna tri-metallica per omonimia con un altro
premio)
se l’è aggiudicato Cordero de Dios (Agnello di Dio) dell’argentina Lucia Cedron,
in grado di costruire un film interessante ed intenso attorno ad un doppio
filo narrativo che, tra il 1978 e il 2002, permette di rivivere i drammi
che hanno attraversato la storia della grande nazione latinoamericana (la
sanguinosa dittatura militare nei ’70, la tremenda crisi economica ai
nostri giorni) e riesce a far vibrare le corde emozionali del pubblico.
Al secondo posto
Planet Carlos
di Andreas Kannegiesser, di regia e
produzione tedesche ma girato in Nicaragua con attori locali. Il film ha
una vena social-patetica che ne mina la spontaneità. Spontaneo e piacevole
è invece il siparietto che la sceneggiatrice Catrin Lüth, dopo aver
ritirato il premio, ha messo in atto, telefonando al regista (assente) e
lasciando che fosse il boato del pubblico presente a comunicargli di aver
ricevuto un premio.
Il nostro favorito era comunque
Welstadt
(Metropoli) di Christian Klandt, con lo struggente senso di nulla ed apatia che attraversa tutto il film, con
prove d’attore straordinarie da parte dei cinque protagonisti.
Si è
piazzato al terzo posto, ex aequo con
Cealalta Irina (L’altra
Irina) di Andrei Gruzsnickzi, in cui il tema del doppio si sviluppa in una
chiave originale sotto la curata regia dell’esordiente polacco (il film
era alla sua prima proiezione in pubblico).
Come sempre altissimo il livello delle retrospettive, quest’anno dedicate
a
Carol Reed
e Bette Davis.
Diciannove i titoli del regista inglese, da
It Happened in Paris (1935) a
The Running Man (1963), passando per
titoli quali
Il nostro agente all'Avana
(1960) e
Il terzo uomo (1949),
capolavoro del noir ricco di colpi di scena e rivelazioni inaspettate,
sino all’indimenticabile e celeberrimo inseguimento finale con Joseph
Cotten sulle tracce dell'amico-nemico Orson Welles.
Altrettanto splendido è E le stelle stanno a guardare
(The Stars Look
Down, 1940), dove una storia di miseria e abnegazione riesce a dare
emozioni degne di un thriller, con un frenetico susseguirsi di eventi ma
anche un’attenzione profondissima per la psicologia dei personaggi resi
vividi da attori intensi (Michael Redgrave su tutti, nella parte del
giovane intellettuale costretto a rinunciare ai suoi sogni di riscatto
sociale per una moglie sciocca e avida).
I film con
Bette Davis (e spesso pesantemente influenzati dalle sue scelte
di “diva”) sono di tutt’altro genere, più romantici e meno tragici (anche
se non mancano i momenti tristi, come nello struggente
finale di
Dark Victory,
1939, notevole anche per il doppio ruolo da gemella di sé stessa) ma
nient’affatto poco intensi: lo sguardo magnetico della Davis conferisce a
tutte le pellicole un’intensità che la sceneggiatura da sola non
basterebbe a spiegare. Provoca una sensazione dolorosa il vedere la
diva, bellissima ed affascinante, ridotta al ruolo di madre
casalinga preoccupata di pagare un super matrimonio alla figlia (Pranzo di nozze, 1956) o addirittura
a mendicante travestita da dama (in
Angeli con la pistola, 1961).
Ma anche se la bellezza e la civetteria sono scomparse, rimane la
grandissima attrice, capace di dare a entrambi i personaggi un realismo
concreto che non è scalfito dalle situazioni comiche e quasi paradossali
che vengono a crearsi.
In definitiva un festival di buonissimo livello, una rassegna che migliora
i (già alti) standard delle edizioni precedenti e che rilancia
ancora il
BFM come luogo principe di una sinergia tra la cinefilia
d’essai, i pezzi da cineteca (grazie in particolare al British Film
Institute) e un’attenzione impareggiabile ad attori emergenti europei.
Giocomo Leoni - Anna
Santucci |