Anche a Venezia, come a Cannes, vince l'ex aequo e
ancora una volta non si può essere soddisfatti di una
giuria-coniglio che non sa schierarsi per un certa linea
cinematografica. Ma se criticare è spontaneo, capire l'indecisione
nell'assegnazione del Leone d'oro
non è difficile.
Film
blu. Libertà di Kieslowski resta un'esplosione
di cinema intenso e lirico (ne abbiamo parlato,
entusiasti, la settimana scorsa), ma va detto che il
finale, pur coerente in via stilistica e tematica, pecca
di ridondanza e di enfasi. E'
comprensibile come una parte della giuria abbia preferito
l'asciutta modernità di
Short
Cuts di Robert Altman: tre ore tirate di
proiezione , vicende parallele che si accavallano, si
intersecano per descrivere l'umore, i sentimenti e le
nevrosi di una Los Angeles minimalista (non per niente il
soggetto è tratto dai racconti di Raymond Carver).
Incalzante, amaro, paradossale il film di Altman è un
perfetto meccanismo d'autore in cui le performance di
eccezionali attori come Andie MacDowell, Jack Lemmon,
Mattew Modine, Madeleine Stowe, Tim Robbins, Lily Tomlin
e Tom Waits, giusto per citarne alcuni, riescono a
lambire la credibilità del reale tanto che lo
strampalato puzzle delle loro disavventure sembra
configurarsi davvero come lo specchio, solo un po'
deforme, del vivere quotidiano dell'America d'oggi.
Diciamo piuttosto che il concorso alla Mostra ha offerto
ben poco altro. Il Leone d'argento
al film del Tagikistan Kosh ba
kosh ha voluto forse premiare il significato
civile di un'opera-testimonianza sulla guerra in corso
piuttosto che i suoi reali valori artistici, il Gran Premio
Speciale della Giuria ha segnalato l'unica vera
sorpresa del Festival, l'australiano
Bad Boy Bubby, film
scioccante al limite del disgusto e del blasfemo nel
descrivere la rinascita civile di un uomo, rinchiuso per
anni da una madre-megera, che scopre all'improvviso il
mondo attraverso la violenza e il torpiloquio, ma anche
attraverso il contatto umano, sia questo quello "gridato"
dei concerti di una banda rock, sia quello, più toccante,
delle comunità di handicappati, di una donna da amare e
di una famiglia da far crescere. Assurdo, grottesco il
film di Rolf de Heer ha diviso critica e pubblico, ma un
riconoscimento dalla giuria ce lo si aspettava.
Scontata anche la Coppa Volpi per l'interpretazione
femminile a Juliette Binoche (Film blu), mentre inattesa la
non consacrazione di Harvey Keitel quale miglior attore per la sua
virulenta interpretazione in Snake Eyes
di Abel Ferrara. La Coppa Volpi al nostro Fabrizio Bentivoglio, che,
Keitel a parte, sicuramente era tra i candidati probabili, appare
quasi come un premio di consolazione all'unico film italiano, Un'anima
divisa in due, che davvero avrebbe meritato un tributo
ufficiale da questa Mostra del cinquantenario [...]
Parlando di forma e contenuto permettete una digressione dalla griglia
dei film in concorso (altro non c'è davvero da segnalare) per raccontare
della folgorazione visiva trasmessaci da L'età
dell'innocenza, il film
di Martin Scorsese che ha inaugurato la Mostra. Chi aveva dubbi sull'adattarsi
del regista americano alle convenzioni del cinema in costume ha potuto
ricredersi e godersi il fascino di una ricostruzione impeccabile e
toccante. Nel descrivere la grettezza dell'aristocrazia borghese di
fine ottocento e la passione segreta tra il distinto Daniel Day-Lewis
e l'incantevole Michelle Pfeiffer, Scorsese esalta il gioco sfizioso
della trasposizione letteraria sfoderando ricercatezze formali, sinuosi
movimenti di macchina, una forza nel descrivere ambienti e sentimenti
che non possono non emozionare.
Se amate almeno un po' quel cinema che illumina lo
schermo e riscalda il cuore non perdetevi l'abbinata
Scorsese-Kieslowski che questo 50° Festival di Venezia
ci ha regalato.
e.l.
La Difesa del Popolo - 19 settembre 93
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