Urlo (Howl)
Rob
Epstein e Jeffrey Friedman
- USA
2010
- 1h 30' |
Nel
1955 alla Six Gallery di San Francisco, il giovane poeta Allen Ginsberg
recita per la prima volta in pubblico quello che diventerà il manifesto
poetico dell'intera cultura Beat americana: Howl. Nel suo ululato
lamentoso e lacerante risiedono gran parte delle esperienze biografiche
dell'autore e tutta la forza immaginifica della sua forma poetica. Qualche
anno dopo, in seguito alla pubblicazione del poema da parte del City Light
Bookstore, l'editore Lawrence Ferlinghetti e l'"ululato" di Ginsberg sono
sotto accusa da parte della comunità americana per i contenuti osceni e il
dubbio valore letterario. Dopo essersi incrociati a distanza nel ricordo
della figura di Harvey Milk, i nomi di Gus Van Sant e Rob
Epstein (autore del documentario che ha dato vita al
film con Sean Penn)
si uniscono in un'opera che ha ancora una volta come sfondo il fermento
culturale di San Francisco. Le quattro parti del lamento poetico e
allucinato di Allen Ginsberg si convertono in altrettanti stili e formati
all'interno di un'opera che somma alla passione letteraria, un biopic
sugli anni giovanili del più importante poeta beat, un pamphlet
storico-critico sulla libertà d'espressione e l'intenzione di contenere in
immagini suggestive l'essenza dei versi poetici. I due documentaristi
Epstein e Friedman utilizzano gli strumenti di ricerca del documentario a
fini finzionali e costruiscono la struttura del loro lavoro su frammenti
discontinui e paralleli, alternando così una messa in scena dal taglio
documentaristico per ricostruire il celebre reading della Six Gallery e le
interviste a Ginsberg, con una drammatizzazione del processo all'editore e
delle dichiarazioni dei vari critici letterari intervenuti e una serie di
sequenze animate. La fotografia vintage di Edward Lachman (capace di
adattarsi tanto alle esigenze del documentario, come ai tempi di
Lampi sull'acqua
di
Wenders, che ai più recenti progetti "filologici" di
Todd Haynes) non sempre
riesce a dare omogeneità al fluire dei frammenti, fra i quali sono
soprattutto le sequenze animate a ridare spirito ai versi del giovane
Ginsberg attraverso una sorta di Fantasia che viaggia a tempo di metrica e
fluisce fra le note di Gershwin e di Carter Burwell, muovendosi fra la
terra e il cielo, fra gli amplessi e il dolore, fra il buio e la luce.
Quasi un ipertesto multimediale che sviscera in modo analitico il poema,
cercando un dialogo virtuale con lo spettatore... |
Edoardo Becattini -
MYmovies |
Se
c'è un'epoca storica che ci indigna, quasi automaticamente, per il suo
bigottismo, il suo reazionarismo, la sua sfregola censoria, questa è
l'America degli anni '50. Ma se
Howl
, il poema chilometrico, testa d'ariete della beat generation, invece che
nel 1955 fosse stato scritto da Allen Ginsberg oggi, quali effetti
provocherebbe nell'opinione pubblica? Versi come "che si lasciavano
fottere in culo da motociclisti santi, e urlavano di gioia" o "che
scopavano la mattina la sera in giardini di rose ed erba di parchi
pubblici e cimiteri spargendo il loro seme liberamente per chiunque
volesse venire", quale trattamento riceverebbero oggi? In quegli anni
per Howl, visto che l'aveva
pubblicato, sul banco degli imputati ci finì l'editore-poeta Lawrence
Ferlinghetti. Ed è dal tribunale di San Francisco di cinquantatrè anni fa
che i registi Rob Epstein e Jeffrey Friedman (loro il documentario del
2000
Paragraph 175 sulla
persecuzione nazista degli omosessuali) fanno partire i novanta minuti di
Howl,
secondo film in competizione alla sessantesima Berlinale. Aula di
giustizia che accoglie le principali star del film (David Strathairn da
Good night, and good luck di Clooney;
John Hamm da
Mad men; i
veterani Jeff Daniels, Mary-Louise Parker) di un quasi biopic della
controcultura americana. Uno dei tre nuclei narrativi del film è proprio
lo spazio dibattimentale dove accusa e difesa chiamarono a
testimoniare
una dozzina d'esperti di letteratura, sezionando col bisturi, parola per
parola, il poema di Ginsberg, e dove il giudice Clayton Horn, infine,
sentenziò "l'importanza sociale" di Howl e prosciolse Ferlinghetti.
Court-room movie, quindi, che si mescola poi con altre due piste del
racconto. La prima, a colori, è quella di Ginsberg (un James Franco in
discreta forma) intervistato fronte cinecamera a raccontare vocazione e
delirio della beat generation dei Kerouac, Bourroughs, Corso, o a
declamare, in bianco e nero, ampi stralci di Howl ad una platea di
aficionados. La seconda, che è forse il dato su cui avevano puntato
maggiormente Epstein e Friedman, sono gli inserti animati, trip lisergici,
allegorie di un immaginario evocato dalle parole di Ginsberg, che
risultano però una fiacca congerie di squaglianti linee urbane, vampate di
fuoco, gorghi cromatici. Come risultano tradizionalissime le sequenze
nell'aula del tribunale con la solita quinta della giuria oscurata da
esigenze di budget. Dove invece
Howl
stravince è nella performance live di
Ginsberg/Franco. È lì che il processo alle sensazioni, più che alle
intenzioni, della giustizia americana fallisce miseramente. È in quel
declamare versi alla folla, gratuitamente, come avvenne nella realtà
storica a San Francisco il 13 ottobre del 1955, che
Howl
poema,
Howl,
film e cartone animato, fendono l'ipocrisia del perbenismo borghese pre '68. Ginsberg/Franco finisce quasi per cantare quei versi che sembrano
uccelli (pardon) fluttuanti nello spirito e nell'anima degli
uditori/spettatori. È lì che l'immaginazione può iniziare il suo viaggio,
è lì che inizia l'ululato della liberazione sessuale, culturale e politica
dell'America anni '60. Con, o senza, sostanze stupefacenti. |
Davide Turrni -
Liberazione |
promo |
Nel 1957 si
tenne un processo particolare negli USA: quello a Allen Ginsberg e
Lawrence Ferlinghetti, il primo autore e il secondo editore del
poema Howl (L'urlo), ritenuto osceno. Quel processo,
considerato come atto di nascita della controcultura della beat
generation, viene ritratto in quest'opera da tre punti di vista:
quello della ricostruzione del processo stesso, quello delle
reazioni del gruppo di personalità che circondava il poeta e la
rappresentazione del poema stesso, raffigurato visivamente
attraverso il lavoro dell'illustratore Eric Drooker, che collaborò
a più riprese con lo stesso Ginsberg. Non è biopic, ma monografia
appassionata e colta, che con linguaggio chiaro e passo preciso,
talvolta raggelato, mette in parallelo la questione dei diritti
gay e la libera creatività. È cinema di nicchia e insieme civile,
ma anche uno stimolante ipertesto multimediale che sviscera in
modo analitico il poema, cercando un dialogo virtuale con lo
spettatore. Per chi abbia affrontato davvero la lettura di Howl di
Ginsberg e non l'abbia archiviato come mito poetico di cui
conoscere solo le righe che più hanno dato scandalo, è tutto da
apprezzare il fraseggio visivo costruito dai tre percorsi che
danno il senso dell'opera e vivacizzano fin dove possibile la
ridondante complessità di Howl. Da non perdere. |