Ogni
dubbio è fugato: nel territorio del documentario italiano si trovano
esigenze di racconto e ricchezze creative che altrove appaiono più
raramente.
Giallo a Milano,
un’inchiesta sui cinesi residenti nel capoluogo lombardo firmata da Sergio
Basso, è uno dei più interessanti lavori visti negli ultimi mesi. Un film
che, raramente accade nel cinema italiano, traduce la curiosità
intellettuale in ricerca formale. L’idea del documentario nasce dal senso
di saturazione per la scarse e depistanti notizie sulla comunità cinese
residente a Milano.
Giallo a Milano
è immediato come un reportage giornalistico (sarà utile anche tra 10 anni,
ma è fondamentale vederlo oggi), è autoironico (usa accelerazioni,
rallenti, un pregevole video d’animazione, Basso ha la capacità di
cogliere l’attimo nelle interviste
e di non cadere mai nel patetico),
trasversale (le diversità cinesi, viste da vicino, si mostrano molto
simili alle nostre stramberie, tanto quanto distanti dalla nostra
abitudine a banalizzare lo straniero), puntuale e sistematico (i quindici
capitoli che dividono il racconto danno un ritmo da poliziottesco anni ‘70
rivisitato alla Tarantino, ma si collegano tra loro in una prospettiva
completa e esaustiva). Infine, è anche un po’ romantico, quando
ricostruisce le affettuosità di una giovane coppia che si scambia
effusioni e sogni nel proprio letto. Ah, fornisce tante utili
informazioni: sapete perché i cinesi vengono/rimangono in Italia? Tra le
altre motivazioni: perché ormai la Cina si è troppo sviluppata, fare
fortuna in Italia è più facile (neomamma)… perché la cultura
italiana mi è più vicina di quella cinese (anziana emigrata da
adulta)… perché voglio avere una vita normale, non voglio essere famosa
(giovane talentuosa cantante lirica)… perché non voglio che l’essere
cinese mi perseguiti come un’ombra (artista emergente)…. perché
abbiamo il surplus di due culture (bauscia cinesi nati in Italia)…. |