da Film Tv (Fabrizio Liberti) |
Gli ultimi giorni ci mette dinanzi all'inadeguatezza delle astratte categorie critiche e del pensiero rispetto alle sanguinanti carneficine prodotte dalla storia. Prodotto dalla Shoah Visual History Foundation con Steven Spielberg nella veste di produttore esecutivo, il documentario (oscar del 1999) è un intenso momento di storia e sofferenza che si avvale della testimonianza di cinque ebrei di origine ungherese sopravvissuti alla Shoah. Si parte con l'incredulità della loro comunità verso i racconti dei profughi dalla Polonia, che per primi descrissero le atrocità naziste. Poi l'invasione nel '44 dell'Ungheria, e i sopravvissuti raccontano il loro dolore nel momento della deportazione, per l'odio dei connazionali "ariani" che fino al giorno prima erano cortesi vicini di casa e amici. Ma i momenti più toccanti sono quelli che descrivono la vita nei campi di concentramento e la scientificità della "soluzione finale". Ognuno dei sopravvissuti ci lascia un momento di grande commozione ma anche di sconforto, perché tutto ciò accade ancora oggi in Ruanda, a Timor Est e anche nella nostra "vecchia" e "civile" Europa e Gli ultimi giorni, tralasciando valutazioni critiche francamente poco opportune, è prima di tutto un forte monito a non dimenticare. |
da La Repubblica (Irene Bignardi) |
Per misurare quali corde di sensibilità e di dolore tocchino certi temi, è interessante scoprire che anche Gli ultimi giorni, il documentario sull'Olocausto prodotto da Steven Spielberg, è stato oggetto in America e in Inghilterra, come è accaduto recentemente a ogni opera cinematografica o letteraria che tocchi questo problema, di un dibattito dai toni pacati ma non per questo meno insistente, e che alla commozione dei più si sono affiancate le riserve di molti insospettabili commentatori. Riassumere le loro argomentazioni - si tratta spesso di sopravvissuti all'Olocausto che mettono in campo la loro personale esperienza - rischia di banalizzarle. Diciamo che l'obiezione più forte mossa al film di Spielberg (inutile nascondersi dietro il nome del regista James Moll, Gli ultimi giorni è in tutto e per tutto il frutto della volontà del "moghul" della Dreamworks e della sua ambizione "storiografica", nata con Schindler's list, continuata attraverso Salvate il soldato Ryan e consolidatasi con il lavoro della Fondazione per la Shoa) e che racconta sì cinque storie tragiche, cinque percorsi attraverso l'inferno dei campi nazisti, cinque storie di sradicamento e di orrore. Ma si tratta di cinque storie "a lieto fine": i protagonisti-testimoni sono lì a raccontare la loro esperienza, circondati dalle famiglie che si sono ricostruiti, cittadini di un grande paese come gli Stati Uniti che li ha accolti e, come nel caso di Tom Lantos, il bellissimo gentiluomo ungherese diventato membro del Congresso, in cui è l'unico sopravvissuto all'Olocausto, ne ha fatto l'esempio di un sogno americano di giustizia e tolleranza per tutti. Gli altri - dicono i critici del film - i "sommersi", quelli che si portano addosso le ferite profonde e incurabili di cui è morto Primo Levi, non avrebbero voce in questa pur così drammatica testimonianza, che è la prima ad avere la circolazione, e quindi l'impatto presso il grande pubblico, di un film realizzato sotto l'etichetta Spielberg. "L'immagine prevalente dell'ebreo in tempo di guerra è passata da quella di una vittima a quella di un eroe. Nessuna delle due è utile", sostiene per esempio Anne Karpf, una sopravvissuta ai campi che ha scritto un libro proprio su questo tema, The War After: Living with the Holocaust, e confessa qualche perplessità anche circa l'azione della Shoa Foundation, che per conto di Spielberg intende raccogliere ogni possibile testimonianza sull'Olocausto, con quella che lei chiama "una toccante fiducia nel potere persuasivo del video". L'interrogativo che investe il film è se non sia più giusta, per trasmettere il senso dell'Olocausto, la secchezza di Notte e nebbia, il film di Alain Resnais sui campi, o la testimonianza fiume di Shoa, il film di Claude Lanzman, anziché le storie di Gli ultimi giorni - con i "lieto fine", la bella fotografia e il commento musicale. Se i termini del dibattito sono delicati e coinvolgono il senso della memoria e della storia, Gli ultimi giorni è, in compenso, più semplice e diretto e, nella semplicità di un lavoro di montaggio e di interviste, molto toccante: non diverso in questo, se non per dimensione produttiva, da Memoria, il film sugli ebrei del ghetto di Roma realizzato due anni fa da Ruggero Gabbai, che in quest'occasione bisognerebbe rivedere con attenzione, perché rappresenta un'altra tessera importante dell'immenso mosaico della Shoa - o, come scriveva qualche giorno fa Furio Colombo, la prima "stanza" di un museo contro l'amnesia. Gli ultimi giorni s'intitola così non solo perché parla degli ultimi giorni di così tante persone innocenti - gli uomini, le donne, i bambini della comunità ebraica ungherese trasportati nei campi nazisti e fatti atrocemente morire - ma anche perché (a prova ulteriore della sinistra follia di cui furono vittime) quelli erano anche gli ultimi giorni o quanto meno gli ultimi mesi della guerra, i nazisti, pur consapevoli che le cose stavano per loro volgendo al peggio, determinati nella loro folle ossessione, in sole otto settimane del 1944 lanciarono un genocidio su vasta scala contro gli ebrei ungheresi. Sullo sfondo di quei tragici mesi il film ci parla di Eichmann e dei Sonderkommandos, che organizzarono minuziosamente il loro piano di sterminio, così come del lavoro frenetico di Raoul Wallenberg, il diplomatico svedese che riuscì a salvare migliaia di persone creando una serie di rifugi e mandandoli in Svezia con falsi passaporti diplomatici. Ci sono i materiali inediti arrivati alla fondazione: con le terribili immagini a 16 millimetri, a colori, girate da un soldato delle forze americane di liberazione, che, proprio per la violenza evocativa del colore, non aveva finora avuto il coraggio di tirar fuori dalle scatole in cui erano conservate. Ma a lasciare il segno sono soprattutto le storie dei cinque testimoni scelti da Moll - da Alice Lok Cahana, un'importante artista le cui opere, tutte ispirate all'Olocausto, sono esposte nei più importanti musei ebraici del mondo, a Renée Firestone, che aveva 14 anni quando è stata deportata e che, sotto gli occhi della cinepresa, vediamo interrogare sulla tragica fine di sua sorella il medico di Auschwitz, il dottor Munch, che descrive con agghiacciante oggettività come si svolgevano "tecnicamente" quegli orrori - e le immagini del loro ritorno in patria, alla ricerca di un mondo scomparso, di memorie cancellate, di identità perdute. Forse hanno ragione i critici e i perplessi: nessuno sa se ricordare, far ricordare, costringere a ricordare, insegni l'umanità e la tolleranza. Ma "non" ricordare sarebbe certo una colpa ben più grave. |
da L'Unità (Alberto Crespi) |
Il "personaggio" che più vi colpirà è quello dei dottor Munch. Non è uno dei cinque sopravvissuti intervistati in The Last Days: loro si chiamano Tom Lantos, Alice Lok Cahana, Renée Firestone, Bill Basch e Irene Zisblatt. Sono ebrei ungheresi che raccontano la propria esperienza di prigionieri nei lager. Il dottor Munch, invece, era un carnefice. Un medico che, di fronte alle testimonianze delle vittime, è capace di affermare che "Auschwitz era il luogo ideale per chi volesse sperimentare sui corpo umano". Qui non si tratta del vecchio luogo comune secondo il quale i cattivi, al cinema, sono più interessanti dei buoni. Qui non si tratta di cinema: si tratta di vita, di morte, di Auschwitz. Il dottor Munch è tutto questo: e non a caso è il personaggio che Spielberg, nei suo Schindler's List, non avrebbe mai saputo né potuto inventare. Sono giorni in cui la realtà si prende le sue rivincite sulla fantasia. Negli ultimi anni il cinema è riuscito a inventare film, e storie, sull'olocausto. Prima Schindler's List, poi La tregua, La vita è bella, Train de vie. Invenzioni discutibili, discusse, ma sicuramente utili per il numero di persone che ,hanno raggiunto e per la quantità di dibattiti che hanno suscitato. Ora esce nei cinema Foundation di Spielberg e basati sulle interviste con i sopravvissuti The Last Days, primo di una serie di documentari finanziati dalla Shoah realizzate in tutto il mondo (anche in Italia, a cura di Grazia Di Veroli). E quasi nelle stesse ore arriva la notizia che la vera "lista di Schindler" è stata ritrovata a Hildesheim, in Germania (e pubblicata sulla "Stuttgarter Zeiting"). Una scoperta che ha anche svelato un particolare toccante: dopo la guerra Schindler, ormai fallito come uomo d'affari, sarebbe stato di fatto mantenuto da alcuni degli ebrei che aveva salvato. Forse non è il caso di parlare di "storia che si prende la rivincita sulla fantasia". Siamo di fronte a un caso in cui verità storica e verità artistica si danno proficuamente una mano. The Last Days non avrebbe la risonanza che ha (né la possibilità di essere stampato in 150 copie a disposizione delle scuole) se non ci fossero dietro il nome di Spielberg e gli Oscar di Schindler's List. E l'argomento-Olocausto non sarebbe così vivo senza il successo di Benigni. Rimane solo il piccolo rimpianto che la stessa uscita a tappeto non ci sia stata con Memoria (Auschwitz), che dai punto di vista filmico era più bello del film di James Moll. , il documentario di Ruggero Gabbai e Marcello Pezzetti sui reduci italiani di Comunque stampa che in tv, un riscontro assai forte. Possiamo dirlo, a bassa voce e Memoria é stato un tassello importante del mosaico e ha avuto, sia sulla senza abbassare la guardia: la memoria collettiva dell'Olocausto è salva, ora bisogna farla arrivare a quante più memorie individuali possibili. Magari, se si riesce, a tutte. |
TORRESINO - cinema invisibile - la follia di pochi, la tragedia di molti gennaio/aprile 2000