Schindler's List
Steven Spielberg [b/n&colore] - USA 1993 - 3h 15'

  

Si poteva essere perplessi di fronte al progetto di Schindler's List. Steven Spielberg, grande mago della fantasia in celluloide (da E.T. a Indiana Jones), aveva fino ad oggi deluso nei suoi tentativi cinematografici di scavare, con credibilità introspettiva, nelle psicologie e nella storia (Il colore viola, L'impero del sole). Inoltre, mentre sui temi dell'olocausto, ricco di illustri precedenti cinematografici, incombeva il rischio di una rivisitazione retorica, la scelta di una durata oltre i limiti canonici (più di tre ore) e di un registro stilistico rigoroso (la fotografia in bianco e nero) rendeva ancora più incerto l'esito dell'operazione.
Invece, al di là delle 12 nominations e dei 7 oscar
, Schindler's List convince e commuove, entrando con cognizione di causa nell'approfondimento del tema, grazie al recupero della storia vera di Oskar Schindler, un imprenditore tedesco, legato al regime, ma lontano dall'insania del genocidio. Egli comincia a reclutare gli ebrei del ghetto di Cracovia per far funzionare a basso costo la propria industria di vasellame e si ritrova attonito spettatore della crescente crudeltà dei gerarchi nazisti; fino ad assistere, sconvolto, alla cruenta evacuazione del ghetto. La sua decisione di "comperare" i "suoi" operai per trasferirli in una nuova fabbrica in Cecoslovacchia, si rivelerà un memorabile gesto di umanità che salverà dai campi di sterminio oltre mille persone e che gli varrà il riconoscimento, da parte del Consiglio Ebraico, di Santo dei Giusti.

Spielberg lavora con efficacia sul materiale "eroico" della sua storia e sa amalgamare la tragedia di un popolo con la presa di coscienza del singolo. La precisa ricostruzione ambientale e l'accurata caratterizzazione dei personaggi sedimentano in veridicità l'evolversi del tragico destino degli ebrei di Cracovia, ma va segnalata, nella puntigliosa storicità dell'assunto, la forza immaginifica che il regista americano sa far scaturisce tra le pieghe del racconto. Se la "macchia" rossa (il vestito di una bambina che attraversa smarrita la violenza del ghetto) si erge a simbolo della trasfigurazione del dramma all'interno di una realtà "incolore" nella sua abbrutita normalità, la processione finale alla tomba di Schindler, affidata ai veri sopravvissuti di quell'esperienza, è un toccante abbraccio tra finzione cinematografica e documento sociale. Ma al di là delle violenze e della crudeltà, della commozione e della nostalgia, le immagini che meglio resteranno a stigmatizzare la solidarietà di quest'opera-testimonianza, sono quei caratteri su fondo bianco con cui, in apertura, le macchine da scrivere dei persecutori sembrano voler sostituire all'umanità degli individui l'asetticità di un nome schedato. E di contrappunto, all'appello della lista-Schindler, le voci dei prigionieri che declamano, con i loro nomi, la loro volontà di essere presenti alla chiamata, estremo tributo al loro spirito di sopravvivenza, alla loro speranza affidata a quell'uomo mandato dal destino a cui non potranno mai più negare la loro riconoscenza e a cui non potranno che dedicare la massima del Talmud per cui "chi salva una vita, salva il mondo intero".

ezio leoni - La Difesa Del Popolo  3 aprile 1994