Si poteva essere perplessi di
fronte al progetto di Schindler's List.
Steven Spielberg, grande mago della fantasia in celluloide (da E.T. a
Indiana
Jones), aveva fino ad
oggi deluso nei suoi tentativi cinematografici di
scavare, con credibilità introspettiva, nelle psicologie
e nella storia (Il colore
viola, L'impero del sole). Inoltre, mentre sui temi
dell'olocausto, ricco di illustri precedenti
cinematografici, incombeva il rischio di una
rivisitazione retorica, la scelta di una durata oltre i
limiti canonici (più di tre ore) e di un registro
stilistico rigoroso (la fotografia in bianco e nero)
rendeva ancora più incerto l'esito dell'operazione.
Spielberg lavora con efficacia sul materiale "eroico" della sua storia e sa amalgamare la tragedia di un popolo con la presa di coscienza del singolo. La precisa ricostruzione ambientale e l'accurata caratterizzazione dei personaggi sedimentano in veridicità l'evolversi del tragico destino degli ebrei di Cracovia, ma va segnalata, nella puntigliosa storicità dell'assunto, la forza immaginifica che il regista americano sa far scaturisce tra le pieghe del racconto. Se la "macchia" rossa (il vestito di una bambina che attraversa smarrita la violenza del ghetto) si erge a simbolo della trasfigurazione del dramma all'interno di una realtà "incolore" nella sua abbrutita normalità, la processione finale alla tomba di Schindler, affidata ai veri sopravvissuti di quell'esperienza, è un toccante abbraccio tra finzione cinematografica e documento sociale. Ma al di là delle violenze e della crudeltà, della commozione e della nostalgia, le immagini che meglio resteranno a stigmatizzare la solidarietà di quest'opera-testimonianza, sono quei caratteri su fondo bianco con cui, in apertura, le macchine da scrivere dei persecutori sembrano voler sostituire all'umanità degli individui l'asetticità di un nome schedato. E di contrappunto, all'appello della lista-Schindler, le voci dei prigionieri che declamano, con i loro nomi, la loro volontà di essere presenti alla chiamata, estremo tributo al loro spirito di sopravvivenza, alla loro speranza affidata a quell'uomo mandato dal destino a cui non potranno mai più negare la loro riconoscenza e a cui non potranno che dedicare la massima del Talmud per cui "chi salva una vita, salva il mondo intero". |
ezio leoni - La Difesa Del Popolo 3 aprile 1994 |