Non molto
spesso i remake soddisfano, almeno non i cinéphiles: chi osa
cimentarsi con capolavori
del passato – come tale può ben essere classificato
Gli
insospettabili, l’ultimo film di Joseph Leo Mankiewicz del 1972 – non sempre ‘sa’ cosa dovrà affrontare. Evidentemente, in
questo caso,
Kenneth Branagh, forte da tempo di alcune versioni
coraggiose intraprese tra Shakespeare e Mozart, Schikaneder e Losey,
sapeva dove andare a parare e l’ha fatto in maniera davvero pregevole. |
Maria Cristina Nascosi - MC magazine 20 settembre 2007 |
promo |
La vicenda ha inizio con l'incontro tra un celebre, egocentrico scrittore di gialli Andrew Wyke, e un giovane e affascinante amante di sua moglie, l'attore di origine italiana Milo (Tindolini) Tindle. L'immediata competizione retorica tra i due uomini si trasforma rapidamente in un gioco raffinato e pericoloso... Un thriller da camera che sfocia nella dark comedy, una raffinata e brillante partita all'ultimo sangue tra due uomini in lotta per il possesso di una donna, fantasma che aleggia continuamente nei discorsi dei due e ideale protagonista invisibile della storia. Inquietante e divertente, grazie anche alle brillanti interpretazioni di Michael Caine e Jude Law, il film trova la sua forza anche nella raffinata ambientazione, perfetta incarnazione dell'animo ambiguo e imprevedibile del suo proprietario. |
Due attori che fanno scintille per un testo "a porte chiuse" firmato Anthony Shaffer, l'autore di Equus. È Sleuth - Gli insospettabili, remake dell'ultimo film diretto da J.L. Mankiewicz, grande maestro del cinema di parola, nel 1972. Molte e notevoli le differenze. Là il giovane Michael Caine affrontava il vecchio Laurence Olivier. Qui invece Caine è l'anziano giallista di successo mentre Jude Law è il giovane attorucolo di origine italiana che sta con sua moglie e viene a chiedergli di concederle il divorzio. Il resto è il classico gioco a gatto e topo ma chi è il gatto e chi il topo? Nella versione di Branagh, asciugata e riscritta nientemeno che da Harold Pinter (mentre Mankiewicz adattò da sé il testo di Shaffer) c'è anche un terzo personaggio: una fastosa villa high-tech tutta ascensori, video di controllo, computer, che moltiplica e svuota le immagini. In questa cornice, emblema della moderna ossessione per il dominio su tempo e spazio, il giallista tesse la rete destinata al giovane plebeo. Lotta di classe e di culture, rivincita dei vecchi sui giovani (e viceversa), ma anche, volendo, scontro fra recitazione (Law) e regia (Caine). Uno spettacolo di grande virtuosismo costruito a scatole cinesi. Con giochi di specchi addirittura vertiginosi quando nel duello entrano in gioco passioni (o finzioni?) gay. |
Fabio Ferzetti – Il Messaggero |
La riscrittura di Pinter si distacca assai dalla vecchia stesura di Shaffer, soprattutto nella seconda parte. È molto più breve (86 minuti contro 138), non prevede altri personaggi (nel film di Mankiewicz c'erano), è una sonata per due solisti dove Caine è grandioso e Law regge bene il confronto. Si perde la «lettura classista» dell'originale, dove Olivier era uno snob azzimato e Caine un burino italo-cockney nel quale la rivalsa sociale prevaleva sugli affari di letto. Pinter non è uno scrittore realistico, è un creatore di macchine psicologiche e il suo Sleuth è la lotta di due uomini che, fingendo di contendersi una donna, si sfidano a chi è il burattinaio più astuto. Wyke vorrebbe convincere Tindle a tenersi la sua signora senza che si parli di divorzio, per non pagare gli alimenti, e a questo scopo invita il giovane a fingere un furto e a impossessarsi di alcuni preziosi gioielli (per i quali Wyke riscuoterebbe una ricca assicurazione); in realtà tra i due uomini si instaura un tortuoso gioco di reciproca seduzione che nel finale - la parte meno convincente - acquista addirittura venature gay. È abbastanza sterile stabilire una graduatoria fra i due film: quello di Mankiewicz rimane un capolavoro, questo è un brillante esercizio di stile al quale Branagh, Pinter, Caine e Law contribuiscono esattamente al 20% ciascuno. Un altro 20% va assegnato allo scenografo Tim Harvey, un signore di 70 anni che lavora con Branagh dai tempi di Enrico V e che ha creato un set «doppio» come i personaggi: antico fuori, modernissimo e iper-tecnologico dentro, con telecamere che sorvegliano ogni angolo della casa e compongono un film nel film: dove Wyke e Tindle credono di dominare, ciascuno, l'altro; ma sono invece dominati dall'occhio gelido del cinema... |
Alberto Crespi – L'Unità |
Suggerirei di imbastire un corso universitario sul confronto fra i due testi, versione Shaffer e versione Pinter. Ne uscirebbe un manuale su come si scrive per lo spettacolo, a conferma dell' assioma (oggi condiviso da pochi) che in scena la parola è tutto. O quasi: perché ci vogliono anche gli interpreti, che qui sono di nuovo Caine nella parte che fu di Olivier (un giro di valzer che pochi interpreti hanno avuto l'occasione e il coraggio di fare) e Jude Law (sagace produttore del film) in veste di topo in trappola. Ci vuole anche un regista della classe di Branagh, che ha ambientato il duello in un contesto tecnologico e postmoderno e ha impresso alle varie fasi dello scontro un ritmo sempre incalzante giocando sulla sorpresa. Il suo segreto è accostarsi a una commedia di consumo con lo stesso impegno di quando realizza i suoi bellissimi Shakespeare. Senza contare la competenza nel dirigere la recitazione che hanno soltanto alcuni attori-registi, in grado di rendersi davvero utili ai colleghi che stanno sotto i riflettori. È anche per questa professionalità, discendente da secoli di gran teatro, che il cinema inglese, pur snobbato dalla critica e dalle giurie dei festival, è oggi il migliore del mondo. |
Tullio Kezich – Il Corriere della Sera |
LUX - novembre 2007