Roberto
Saviano non è il primo eroe civile di un'Italia maledetta che ha bisogno
di prodi (solo con la minuscola?), Brecht insegna, che combattano
battaglie che competerebbero alle istituzioni. Sono i nostri esempi, la
nostra coscienza civile e per questo sacrificio - che spesso diventa
martirio - mettono in gioco vita, giovinezza e libertà. Ecco perché lo
scrittore va sostenuto e protetto, e non solo dalla criminalità
organizzata. Perché non deve finire come tanti, come quella Rita Atria, ad
esempio, giovane donna sulla cui storia Marco Amenta ha costruito
La
siciliana ribelle.
Orfana undicenne del padre boss e sconvolta poi dalla morte del fratello
picciotto, prima per vendetta e poi per giustizia, decide di emanciparsi
da mafia, omertà, maschilismo, ricatto e combattere, con il giudice
Borsellino (qui Gerard Jugnot, ma è solo un'ispirazione), una guerra
impossibile contro Cosa nostra. Per anni ha appuntato ogni movimento della
città, ha visto, analizzato, fotografato il meccanismo infernale del suo
paese. E ancora minorenne diventa la chiave di volta per un'inchiesta
fondamentale. Le costerà tutto e tutti, ma non cederà. Una kamikaze della
verità e della libertà che vincerà, pur perdendo tutto. Una storia
bellissima a cui non serve metter vicino un film complesso: Amenta ha
l'umiltà di costruire una struttura semplice, scegliere una protagonista
con un viso atipico e potente (Veronica D'Agostino), tracciare un'opera
didattica - giustissima, quindi, la collocazione in Alice nella città del
Festival Internazionale del Film di Roma - a cui si perdona qualche
ingenuità di troppo.
Il cinema civile sta riprendendo piede in Italia: implacabile come
Gomorra,
visionario come Il divo, classico come
La siciliana ribelle, poco importa,
la battaglia tra forma e contenuto si gioca comunque su un terreno nobile.
Anche se, il modello del mafia-movie, in Italia, sembra ormai
anacronistico, troppo "piovresco". Un film per non dimenticare che la
mafia non vince sempre. È "solo" che si compra troppo spesso l'arbitro. |