Il divo
Paolo
Sorrentino -
Italia
2008
- 1h 50'
|
|
Premio speciale della Giuria |
Il Divo,
che - come
Gomorra
- tratta temi molto presenti nell'immaginario e nella storia italiani,
riesce nella sfida di ritrarre un personaggio di cui tutto è stato già
detto procurando l'impressione che tutto sia inedito, originale. Frutto di
un calibrato mix tra documento e invenzione. Dove è l'invenzione, la
libera utilizzazione del materiale o la sua manipolazione creativa a
imprimere forza al film. Le persone più vicine a Giulio Andreotti, i capi
della sua corrente, esprimono un alone sinistro e cupo che è conseguenza
dell'interpretazione artistica ma non per questo perde in attendibilità.
Il colloquio tra Andreotti ed Eugenio Scalfari è inventato, ma come rende
l'idea quell'appellarsi del senatore alla complessità delle cose, in
risposta alle domande incalzanti del giornalista, e la sua esortazione a
evitare le scorciatoie semplicistiche nel condannarlo. Non sarà vero in
senso stretto ma quanta verità c'è nel passaggio in cui il presidente
confessa il dolore cui lo condannano il pensiero di Moro e la domanda
"perché le Br non hanno preso me?". E poi quello in cui egli assume la
responsabilità di una pratica del Male che è servita a preservare,
difendere, promuovere il Bene. Un film complesso, discutibile come
qualsiasi opera che tocca argomenti tanto sensibili, dove la figura più
nota di tutta la storia repubblicana, milioni di volte caricaturizzata per
le sue inconfondibili caratteristiche fisiche, ci appare per la prima
volta nella sua enigmatica dimensione umana e nella sua statura di moderno
Nosferatu. Le forzature, le invenzioni, non mancano di restituirci un
ritratto denso, realistico e indimenticabile. Il massimo di deformante
soggettività produce il massimo di documento.
Come fu per
La dolce vita. |
Fabio Ferzetti - Il
Messaggero |
Baciato
dal successo, come
Gomorra, segno che il pubblico si
fida del cinema italiano che parla della nostra storia, il film di
Paolo Sorrentino
è una ricostruzione del mito in finale di partita di Andreotti
e dei suoi cari. Redatto non in forma di neorealismo né tanto meno di
documentario, ma con la marcia in più di un senso surreale, fantastico e
grottesco che spesso fa pensare, con gli stormi di paparazzi in moto
perpetuo e i personaggi che parlano in macchina, al
Fellini di una macabra
Dolce vita. Film di memorabile prestanza espressiva, che sprigiona la fascinazione del Male (è difficile essere cattivi, diceva Brecht), s'
esalta nel gruppo gregario (cast magnificamente trash) e titoli di coda su
rosso cardinalizio. Tragedia elisabettiana, con voce off e monologo su
Bene e Male, assai dispiaciuto all' interessato. Su Servillo basti dire
che è psicosomaticamente memorabile. |
Maurizio Porro -
Il Corriere della Sera |
La
macchina da presa avanza nell'oscurità. Poi nel buio compare una testa,
trafitta di aghi per calmare il dolore. Sorrentino presenta l'"eroe", un
fosco Andreotti fatto di sangue e ambiguità, come Coppola nel Padrino,
quando il volto di don Vito (Brando) sbucava dalle tenebre. II regista
costruisce con livido furore la ballata macabra che ha segnato la storia
d'Italia. Sotto le maschere si agitano e muoiono personaggi veri, citati
per nome. Forse il trucco, fra Nosferatu e il Bagaglino, che imprigiona il
bravo Sorrentino, è troppo pesante; ma l'errore nasce da una scelta
poetica. Solo le due donne del cuore sono rappresentate con dolente
realismo. Ma l'anima (nera) del film è nella raffigurazione impura del
Potere e delle sue vittime. "I migliori anni della nostra vita" sono stati
un labirintico mattatoio. |
Claudio Carabba -
Corriere della Sera Magazine |
cinélite
TORRESINO
all'aperto:
giugno-agosto 2008